Macbeth: Follia, cupidigia e destino di Oscar Serino, Basilio Sciacca

CONCLUSIONI GENERALI E MODALITÀ DI VALUTAZIONE DELL’APPRENDIMENTO


La raccolta tematica che è stata proposta nelle pagine precedenti rappresenta solo una base per un insegnante di letteratura inglese che intenda preparare un’unità didattica sulla tragedia di Shakespeare. Per un approfondimento didattico gli autori rimandano alle seguenti risorse disponibili sul web.

[F21] [Es24] [E25] [E26] [E27] [E28]

Per quanto riguarda le modalità di valutazione vera e propria si propone ora un questionario che parte da passi specifici del testo per spingere lo studente ad estrapolare i significati simbolici e filosofici dell’universo macbettiano.

QUESTIONARIO

1. Leggi la scena I del primo atto e soffermati su queste battute:

MACBETH: Parlate, se potete: che cosa siete?
PRIMA STREGA: Salve, Macbeth! salute a te, signore di Glamis!
SECONDA STREGA: Salve, Macbeth! salute a te, Signore di Cawdor!
TERZA STREGA: Salve, Macbeth, che un giorno sarai re.
BANQUO: Mio buon signore, perché trasalite, e sembra che abbiate paura di cose che suonano così belle? In nome del vero, siete creature della fantasia, o siete in realtà ciò che esteriormente sembrate? Voi salutate il mio nobile compagno con un titolo di onore ch'egli già possiede, e con sì alta predizione di nobile acquisto e di regale speranza, ch'egli ne sembra rapito fuor di sé: a me non parlate. Se voi potete penetrare con lo sguardo dentro i semi del tempo, e dire quale granello germoglierà e quale no, allora parlate a me, che non sollecito né temo i vostri favori e l'odio vostro.
PRIMA STREGA: Inferiore a Macbeth, e più grande di lui.
SECONDA STREGA: Non così felice, ma pur molto più felice.
TERZA STREGA: Tu genererai dei re, senza esser tale tu stesso: così, salute, Macbeth e Banquo!
PRIMA STREGA: Banquo e Macbeth, salute!
MACBETH: Restate, favellatrici oscure, ditemi di più. Che per la morte di Sinel io sono signore di Glamis, lo so: ma come di Cawdor? il signore di Cawdor è vivo, e prospero gentiluomo, e in quanto all'essere re ciò non ha la prospettiva di una cosa credibile, più che l'essere, io, signore di Cawdor. Dite, donde avete questa strana informazione? e perché su questa landa desolata arrestate il nostro cammino con tal saluto profetico? Parlate, ve lo ingiungo.

Quale importanza rivestono le streghe? Quale tratto caratteriale emerge dalla supplica che Macbeth fa alle streghe? Descrivi in un paragrafo l’indole del protagonista.


2. Analizza le parole di lady Macbeth (Atto I, scena V). Che opinione ha del marito? Lo considera pronto a tutto? Quale ruolo intende esercitare nell’ascesa al trono di Macbeth?

LADY MACBETH: “Tu sei Glamis e Cawdor, e sarai ciò che ti è stato promesso. Ma temo della tua natura; essa è troppo imbevuta del latte della bontà umana, per prender la via più breve. Tu vorresti esser grande; non sei senza ambizione: ma non hai il malvolere che dovrebbe acccompagnarla: ciò che desideri sommamente tu lo vorresti avere santamente: tu non vorresti agire in modo sleale, ma tuttavia vorresti ottenere ingiustamente: tu, o magnanimo Glamis, vorresti avere ciò che ti grida: "così devi fare, se lo devi avere"; e vorresti quel che hai più timore di commettere che desiderio che non sia commesso. Affrettati a venir qui, affinché io possa versarti nell'orecchio il mio coraggio, e riprovare, col valore della mia lingua, tutto ciò che ti allontana dal cerchio d'oro, col quale il destino e un aiuto soprannaturale sembra ti vogliano incoronato”.

3. Leggi la scena II del secondo atto e soffermati sui seguenti passi. Quale concezione ha Macbeth del sonno? In che senso ha ucciso il sonno? Che tipo di metafora è presente nel secondo passo?

MACBETH: "Non dormire più! Macbeth uccide il sonno!"... il sonno innocente, il sonno che ravvia il filaticcio arruffato delle umane cure, che è la morte della vita d'ogni giorno, il bagno ristoratore del duro travaglio, il balsamo delle anime afflitte, la seconda portata nella mensa della grande natura, il principale nutrimento nel banchetto della vita”.

MACBETH: “Che cosa è di me, ché ogni rumore mi atterrisce? Che mani sono queste qui? Ah! esse mi strappano gli occhi! Tutto l'oceano del grande Nettuno potrà lavar via, interamente, questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto, questa mia mano tingerà d'incarnato i mari innumerevoli, facendo del verde un unico rosso!”.

4. Leggi il seguente monologo (Atto III, scena I). Chi è il vero nemico di Macbeth? Perché lo teme? Che idea aveva Macbeth del re che ha ucciso con le sue stesse mani? Cosa intende dire con le parole “gioiello eterno”?

MACBETH: “Essere quello che sono è niente; la questione è di esserlo in modo sicuro. I timori che ci desta Banquo fanno presa profonda, e nella regalità della sua natura regna ciò che vuol essere temuto: egli osa molto, e a questa indomita tempra dell'anima aggiunge una prudenza, che guida il suo coraggio ad agire con sicurezza. Non v'è che lui la cui esistenza io tema: e davanti a lui il mio genio si sente represso, come dicono accadesse a quello di Marco Antonio dinanzi a Cesare. Egli investì le sorelle, quando la prima volta mi attribuirono il nome di re, e impose loro di parlare a lui; allora, con linguaggio profetico, esse lo salutarono padre di una stirpe di re. Così, sulla testa mi hanno messo una corona infeconda, e nel pugno uno sterile scettro, che mi sarà strappato da mano d'estraneo, poiché nessun mio figlio mi potrà succedere. Se è così, io mi sono macchiato l'anima per la progenie di Banquo; per loro ho assassinato il virtuoso Duncan; per loro unicamente ho versato l'odio nel vaso della mia pace e ho dato il mio gioiello eterno al nemico comune dell'uomo, per fare re loro, re il seme di Banquo!”.

5. Leggi il seguente monologo (Atto V, scena III). Cosa capisce Macbeth? Cosa non ha ottenuto dal popolo? Nonostante senta che il suo regno stia crollando, perché non si arrende? È solo una questione di coraggio o intervengono altri fattori?

MACBETH: Io ho vissuto abbastanza, il cammino della mia vita è giunto alla stagione, in cui la foglia si fa secca e gialla, e tutto ciò che dovrebbe accompagnare la vecchiaia come onore, affetto, obbedienza, schiere di amici, io non debbo cercare di averlo; per me, in loro vece, ci sono maledizioni proferite a bassa voce, ma profonde, rispetto espresso a fior di labbra, come un soffio che il povero cuore vorrebbe volentieri trattenere, ma non osa.
MACBETH: Io non avrò a temere né la morte né la rovina, finché la foresta di Birnam non verrà a Dunsinane.

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Edurete.org Roberto Trinchero