Macbeth: Follia, cupidigia e destino di Oscar Serino, Basilio Sciacca

La natura sconvolta come specchio del disordine politico


Le streghe sono il classico esempio di ciò che esorbita dall’ordine naturale [F20] [I24] [E24] delle cose. “Che sono quelle figure tutte grinzose, e così selvagge nel loro vestire, che non hanno l'aspetto degli abitatori della terra, e pur vi stanno sopra?” (Atto I, scena III), si chiede Banquo vedendole per la prima volta. Banquo aggiunge: “Voi dovete esser donne, ma tuttavia la vostra barba mi impedisce di persuadermi che lo siete davvero.” (Atto I, scena III). Le streghe non sono soltanto spiriti maligni in visita sulla Terra, bensì abitanti del mondo con sembianze umane deformi.


Col procedere della scena, dopo aver ricevuto la notizia della sua nomina a signore di Cawdor, Macbeth si chiede: “Perché io cedo ad una tentazione la cui orrenda immagine mi fa rizzare i capelli, e spinge il cuore, ch'è pur saldamente fissato, a battermi alle costole contro il natural costume?”(Atto I, scena III). Macbeth si chiede perchè si senta indotto in una “tentazione” tale, infine, da fargli battere il cuore e rizzare i capelli. Poichè il “natural costume” sottintende la maniera solita e naturale di essere delle cose, con tali parole egli esprime il disagio nel trovarsi in preda a sentimenti avvertiti come innaturali. In qualche modo, il suo corpo gli trasmette dei segnali premonitori contro ciò che la sua mente sta partorendo.

Ricevuta la lettera del marito, Lady Macbeth è ansiosa di proporgli il disegno omicida che ritiene latente nei pensieri del marito.
Preparandosi all’azione, Lady Macbeth invoca gli spiriti maligni affinchè questi occludano “ogni accesso ed ogni via alla pietà, affinché nessuna contrita visita dei sentimenti naturali scuota il mio feroce disegno”(Atto I, scena V). La “contrita visita dei sentimenti naturali” è frutto di quei messaggi della coscienza umana che spingono a trattare gli altri con benevolenza e rispetto. Lady Macbeth vuole agire contro natura per essere “feroce” fino a conseguenze mortali.
Proseguendo, invoca gli spiriti maligni: “Venite alle mie poppe di donna, e prendetevi il mio latte in cambio del vostro fiele, o voi ministri d'assassinio, dovunque (nelle vostre invisibili forme) siate pronti a servire il male degli uomini.” (Atto I, scena V). Le parole di Lady Macbeth fanno emergere la credenza un luogo remoto della natura in cui albergano demoni in grado di rendere la natura stessa innaturale.

Prima che Macbeth uccida Re Duncan, Banquo si accinge ad andare a letto, e si rivolge al figlio dicendo: “Mi invita un sonno, che mi grava addosso come il piombo, e pure io non vorrei dormire: misericordiose potenze del cielo, frenate in me i pensieri maledetti ai quali la natura si abbandona nell'ora del riposo!” (Atto II, scena 1). Banquo non rivela esattamente quali pensieri disturbino il suo sonno, ma è possibile intuire che siano legati alle profezie delle streghe.
I suoi sospetti sulle cattive intenzioni di Macbeth nei confronti di Re Duncan sono fondati ed è probabile che nutra dei dubbi perfino sulle sue ambizioni personali o la sua incolumità. Nondimeno, tali pensieri non sono riconosciuti come naturali poiché rappresentano per lui ciò cui la natura umana lascia il posto quando ci si accinge a dormire.

Quando Banquo si mette a letto, Macbeth cade in preda alle allucinazioni: prima vede un pugnale insanguinato nell’aria, quindi dice a se stesso che quella è l’ora della notte che porta le allucinazioni: “Ora sopra una metà del mondo la natura sembra morta, e malvagi sogni ingannano il sonno tra le sue cortine” (Atto II, scena I). La perdita della coscienza col sopraggiungere del sonno è intesa qui anche come l’irruzione di quei sogni diabolici che riescono ad prendere il sopravvento sull’uomo.

Quando Lady Macbeth aspetta che Macbeth abbia ucciso re Duncan e ritorni da lei, si riferisce alle guardie del re in questo modo: “Io ho messo nelle loro bevande tante di quelle droghe, che la morte e la natura disputano se essi siano vivi o morti.” (Atto II, scena II). Si noti che in questo passo la parola “natura” è usata come sinonimo di vita.
Successivamente nella stessa scena, dopo aver assassinato il re, Macbeth si preoccupa di aver ucciso anche il sonno e di non potersi addormentare mai più. Definisce il sonno “la seconda portata nella mensa della grande natura, il principale nutrimento nel banchetto della vita.” (Atto II, scena II)).
La seconda portata di un pasto era la portata principale, e pertanto il “principale nutrimento”. Macbeth sente che non sara mai più nutrito dalla tenera natura. Spiegando perchè ha ucciso le guardie di re Duncan, Macbeth descrive la vista orrenda del corpo del re reso cadavere: “Gli squarci delle sue ferite parevano una breccia nella natura, aperta alla rovina devastatrice” (Atto II, scena III). Con questa frase egli sottolinea l’aspetto distruttivo della scena di morte: le ferite del re sembravano delle grandi falle nella vita stessa e permettevano alla morte di penetrare.

Nel Macbeth l’omicidio di Duncan rappresenta una forma di sconvolgimento dell’ordine naturale. Subito dopo la scena nella quale viene trovato il suo cadavere, abbiamo un dialogo dedicato interamente all’innaturalezza della notte dell’omicidio. Ross parla con un vecchio. I ricordi di quest’ultimo giungono fino a settant’anni prima, ma non gli sovviene niente di paragonabile agli eventi della notte appena trascorsa: “In un giro di tempo come questo ho visto ore tremende e cose strane; ma questa notte atroce ha ridotto ad una inezia tutto quello che sapevo fino ad ora.” (Atto II, scena II). Ross ribatte: “Ah! buon padre, lo vedi, il cielo, come sconvolto dall'atto umano, minaccia la sua scena sanguinosa” (Atto II, scena IV). Ross intende dire che il cielo, come sede della divinità, ha un’espressione di rabbia osservando l’uomo che recita la propria parte sul palcoscenico della vita diventato ormai un mattatoio con l’uccisione di Duncan. Il re avrebbe dovuto ricevere affetto e onori, per questo il suo omicidio è contro natura. Ross e il vecchio proseguono raccontandosi tutti gli eventi appena accaduti. Non sanno che Macbeth è l’omicida, ma, mentre parlano, si intravedono dei parallelismi con gli atti contro natura compiuti da Macbeth.

Infatti, Ross nota che, sebbene l’orologio indichi l’ora in cui si leva il sole, il cielo è ancora buio. Pensa che una notte così terribile possa essere più forte del giorno, o che forse il giorno si vergogna di vedere ciò che è stato compiuto durante la notte. Lo spettatore ricorderà a questo punto che Macbeth si augurava una notte estremamente buia per eseguire l’omicidio, così da non riuscire a vedere ciò che stava per fare, e in effetti egli ha agito in uno contesto del genere.
Ora però la notte si è insinuata nel giorno stesso. Il vecchio osserva che ciò è “contro le leggi di natura, come l'azione che è stata commessa.” (Atto II , scena IV.). Racconta altri misteriosi avvenimenti: “Martedì scorso un falco, mentre montava in altura, fu ghermito, ed ucciso, da un gufo cacciatore di topi.” (Atto II, scena IV). Il fenomeno paradossale e sconvolgente dell’uccisione del falco da parte del gufo è uno di quegli esempi che dimostrano il sovvertimento dell’ordine naturale come conseguenza di un atto umano contro natura. Il gufo, che è solito acchiappare i topi da terra, anziché abbassarsi, ha spiccato il volo per uccidere un falco. L’assurdità dell’episodio é data dal fatto che mentre il primo è un uccello notturno, quindi messaggero di morte, il secondo è una creatura diurna, la compagnia tipica di un sovrano che va a caccia. Se le cose della natura corrispondono a quelle della vita umana, questo è un buon esempio di similitudine tra il mondo naturale e quello umano: re Duncan è il falco e Macbeth il gufo.

Ross racconta qualcosa di peggiore: i cavalli di Re Duncan, “belli e veloci, gemme della loro razza, si fecero selvaggi, spezzarono le sbarre, balzarono fuori, ribellandosi all’obbedienza, come se volessero muovere guerra al genere umano.” (Atto II, scena IV). Il termine “gemma” indica chi è favorito da qualcuno. Macbeth e Lady Macbeth erano i favoriti di Re Duncan. Il re li aveva colmati di onori e doni, ma essi gli si sono rivoltati contro e lo hanno aggredito a tradimento. La loro indole contro natura si rivela alla fine autodistruttiva. Così come i cavalli finiscono per sbranarsi tra di loro, anche Macbeth e Lady Macbeth finiscono per autodistruggersi: Macbeth viene divorato dalla disperazione e Lady Macbeth dalla follia.

L’idea che anche l’ambito morale rientri nell’ordine naturale delle cose è espressa da altri personaggi. Dopo il discorso sull’innaturalità della notte, giunge Macduff; Ross gli chiede se gli assassini di re Duncan siano già noti. Macduff riporta – forse senza neanche crederci – la versione di comodo fatta circolare da Macbeth, cioè che le guardie, corrotte dai figli del sovrano, abbiano commesso l’omicidio. Ross esclama: “ancora contro natura” (Atto II, scena IV). Intende dire che è contro natura sia che i figli e i servi si rivoltino contro il re, sia che il gufo uccida un falco o che dei cavalli si sbranino tra loro.

Poco prima di far uccidere Banquo dai sicari, Macbeth giustifica a se stesso la sua azione dicendo che questi possiede “natura regale” (Atto III, scena I), e che “davanti a lui il mio genio si sente represso” (Atto III, scena I). Il “genio” di un uomo è il suo spirito custode; Macbeth esprime così la sua percezione di Banquo come uomo naturalmente al di sopra di lui. Più avanti nella scena, quando cercherà di incitare gli assassini a uccidere Banquo, Macbeth osserverà che ogni uomo e ogni bestia presentano caratteristiche differenti “secondo la dote che la Natura generosa ha racchiuso in lui” (Atto III, scena I). Entrambe queste affermazioni rimandano al fatto che l’indole individuale è un dono ricevuto dalla Natura.

Dopo aver organizzato l’omicidio del suo amico Banquo, Macbeth confida alla moglie la sua determinazione a fare qualunque cosa per mantenere la sua posizione di re: “Ma si sconnetta la struttura delle cose, soffrano entrambi i mondi” (Atto III, scena II), piuttosto che “nell’angoscia di questi sogni orrendi che ogni notte ci scuotono” (Atto II, scena II). Si tratta di un’implicita ammissione: sa che le sue azioni vanno sia contro il cielo che contro la natura. Poco dopo Macbeth ricorda alla moglie che il loro pericolo è legato al fatto che Banquo e Fleance siano ancora in vita. La sua risposta è che “in loro l’impronta della natura non è eterna” (Atto III, scena II).
Macbeth cerca di giustificare i propri intenti omicidi ponendoli pretestuosamente in armonia con l’ordine naturale, che in effetti prevede la morte come evento ineluttabile. La sua azione è dunque da lui stesso giustificata col suo essere in sintonia con l’ordine naturale.
Naturalmente tutti muoiono prima o poi, ovvero nessuno gode di un tempo illimitato in questa vita, e Macbeth se ne rallegra, perché si convince che Banquo e Fleance si possono tranquillamente eliminare.

In seguito, quando appare il fantasma di Banquo, Macbeth cerca di giustificarsi dicendo che da lungo tempo gli uomini uccidono altri uomini, ancora prima di quando furono istituite delle leggi che lo impedivano: “Sangue è stato versato prima d’ora, nei tempi antichi, prima che le leggi umane purificassero lo stato ingentilendolo” (Atto III, scena IV). Per Macbeth spargere sangue è un fatto naturale mentre ciò che non è naturale è che adesso i morti “risorgono con venti ferite mortali nella testa e ci buttano giù dai nostri scranni” (Atto III, scena IV).

Quando Macbeth ritorna dalle streghe per conoscere il suo destino e pretende delle risposte, si ravvisa in lui la volontà di scoprire il futuro persino a costo di andare contro l’ordine naturale delle cose: “Datemi una risposta. Anche se scioglieste i venti e li scatenaste contro le chiese, anche se le onde spumeggianti travolgessero e ingoiassero ciò che naviga, anche se il grano s’abbattesse ancora verde, e gli alberi crollassero” (Atto IV, scena I). Egli pretende di sapere anche se “il tesoro dei germi della natura si confondesse e si mischiasse al punto da nauseare per sazietà la distruzione” (Atto IV, scena I). I “germi della natura” sono i semi di tutto ciò da cui discende la natura, e la “distruzione” viene qui immaginata come una persona che vorrebbe provocare talmente tanta distruzione da nausearsi di sé stessa.

Col procedere della scena, dopo aver appreso che non sarà mai sconfitto finchè la foresta di Birnam non giungerà a Dunsinane, Macbeth si convince che il significato della profezia è che “l’altolocato Macbeth vivrà il corso intero della natura e pagherà il suo ultimo respiro al tempo e all’usanza mortale” (Atto IV scena I). In altre parole, Macbeth è sicuro di continuare la sua vita e morire nel suo letto, ma il modo in cui si esprime può indurre lo spettatore a pensare che egli si aspetti di trarre profitto dalla natura attraverso atti contro natura.

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