L'effetto Pigmalione di Emanuela Bagetto

Credenze che orientano

3

 

4.1.           Luoghi comuni

Per luogo comune si intende una credenza condivisa la cui peculiarità è l’infondatezza e la banalità, ma soprattutto la sua accettazione acritica e la conseguente approvazione senza riserve.

Si può rilevare il ruolo dei luoghi comuni nei sistemi umani di ogni tipo, il loro utilizzo può essere una naturale modalità comunicativa usata in ogni tipo di conversazione e con ogni tipo di interlocutore, consapevolmente o no (I9). Possiamo riflettere sugli effetti che provoca l’uso non ragionato dei luoghi comuni nelle relazioni di lavoro, scolastiche ed educative, formative in generale, con il proposito di rendere il loro uso e la loro funzione consapevole, in modo particolare quando la finalità della comunicazione è un cambiamento.

Genitori, insegnanti, operatori,  spesso faticano ad evitare l’utilizzo dei luoghi comuni permettendo così che orientino la relazione con l’altro.

 

4.2. Pregiudizi e stereotipi

Il pregiudizio è un insieme di credenze e di sentimenti che orienta le condotte o almeno gli atteggiamenti delle persone (I95).

Nel parlare comune i pregiudizi si manifestano essenzialmente attraverso gli stereotipi, segmenti discorsivi che tendono a perpetuare un certo modo di vedere la realtà, dando corpo al pregiudizio.

Con Hilgard possiamo definire il pregiudizio un atteggiamento fermamente radicato, chiuso alla discussione libera e razionale, resistente alla modificazione. Sono perciò valutazioni preconcette che impediscono la libera ed obiettiva percezione dei dati di fatto.

Lippman li considera immagini nella nostra testa che si inframmettono fra la realtà e la percezione che ne abbiamo, provocando una semplificazione o un orientamento selettivo delle nostre percezioni, che può anche sfociare in distorsioni in rapporto alla realtà oggettiva.

Il problema nasce quando il nostro pensiero si cristallizza su un luogo comune in modo che influisca sulla nostra percezione, sia della persona che abbiamo davanti, nella sua interezza, sia della relazione, sia della situazione che stiamo vivendo (I96). La sensazione è che la situazione sia chiara, senza possibilità di modifica, la nostra percezione si ritiene esatta ed infallibile (I10).

 Una soluzione potrebbe essere l’atteggiamento entropatico, che è sospensione del giudizio, in modo da avere il tempo di poter comprendere, avere una visione più chiara della relazione, educativa, lavorativa, personale. È accettare di farsi sorprendere da quanto è inatteso.

 La consapevolezza di essere intrappolati in un luogo comune aiuterebbe questo percorso di liberazione della nostra percezione e del nostro pensiero, per poter cogliere ogni aspetto, ogni differenza da quanto già pare definito nella nostra mente, per riuscire a non generalizzare (I97). Nella comunicazione il nostro comportamento, quanto noi trasmettiamo all’interlocutore (a parole e/o con la mimica) basterà ad orientare la persona con cui interloquiamo tanto da fare in modo che si comporti proprio come avevamo pensato, confermando  così, seppur in modo disfunzionale, la nostra ipotesi.

È quanto si riconosce come fenomeno della profezia che si autoavvera. 

 

4.3. Don Milani

Sacerdote fiorentino, si occupa di educazione giovanile e popolare in piccoli centri della provincia di Firenze negli anni ’70 del 1900.

La sua esperienza è legata alla scuola di Barbiana (I11) (I12) (I85) raccontata nel libro scritto da alcuni suoi allievi “Lettera ad una professoressa”. Per don Milani la persona è veramente libera, in grado di attuare se stessa se riesce a superare l’ ignoranza e l’incapacità di far valere le proprie ragioni.

Don Milani vuole superare luoghi comuni e pregiudizi legati ai più poveri e disagiati attraverso l’istruzione e l’intervento educativo.

È definito pedagogista della parola ritenendo che la stessa dovesse essere ricca di significato, riflettere valori, interessi, bisogni dei ceti popolari, la sente lontana dalla cultura borghese giudicata come retorica, negazione delle ragioni dello spirito.

Il passaggio auspicato è dalla subalternità all’autonomia. L’azione pedagogica per essere veramente tale si deve rivolgere in primo luogo alla condizione personale dell’essere umano, deve mediare fra principi generali e condizioni reali di vita, lontano da preconcetti.

I personalisti prospettano una pedagogia ed una scuola ricca di partecipazione umana e scambi interpersonali significativi. L’adulto, educatore/docente è colui che accompagna, incoraggia, consiglia e non si limita ad elargire conoscenze. “È il maestro che ha cura dell’altro”. Possiamo concordare con Don Milani sul fatto che non sia possibile l’autoeducazione se non c’è qualcuno che si occupa di noi, senza preclusioni ma guardando all’essenza della persona.

   4/13   

Approfondimenti/commenti:

    Nessuna voce inserita

Inserisci approfondimento/commento

Indice percorso Edita
Edurete.org Roberto Trinchero