L'effetto Pigmalione di Emanuela Bagetto

Scoprire l'altro

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6.1. Levinas – responsabilità – etica

Levinas, come Buber, intende affermare il principio della responsabilità personale dell’etica, non intesa come insieme di regole ma per la sua responsabilità verso l’altro.

Il filosofo (I15) (I17) (S1) considera nell’esperienza della prossimità la centralità per la comprensione dell’umano, accorda all’altro quella priorità più frequentemente riconosciuta all’io. La prossimità è intesa come soppressione della distanza. È il volto dell’altro che chiede di assumere significati, ma solo dopo aver riconosciuto quel volto come responsabilità. Possiamo dire che situi il principio etico nell’amore.

La filosofia di Levinas oppone il principio dell’alterità al principio di totalità tipico della società occidentale, che non può essere colto dalla ragione perché tenderebbe a negare le differenze. L’alterità si manifesta originariamente solo nel rapporto etico, cioè nel rapporto in cui l’alterità dell’altro uomo è riconosciuta e rispettata. L’etica è l’unica via attraverso la quale dare senso alla individualità. L’uomo si fa soggetto per l’altro uomo, la sua identità consiste nella responsabilità di fronte a lui.

Possiamo, partendo dalle riflessioni di questo filosofo, esaminare quale etica debba essere presente in una relazione educativa. Se si è propensi a guardare, con Levinas, la soggettività come punto di arrivo in quanto si costituisce a partire dall’alterità che si esplicita nel volto dell’Altro, si è coinvolti e si trasforma un semplice incontro in un momento particolare. Riconoscere l’altro ci rende responsabili nei suoi confronti.

Riusciamo a valutare ora l’importanza del dialogo e dell’incontro fra individui per la costruzione del proprio io.
Il pensiero di Lévinas si può rendere in termini empiricamente osservabili e attuabili nel concreto dell’agire educativo: nel pensiero pedagogico essere responsabile nei confronti dell’altro costituisce uno dei presupposti sulla base dei quali fondare una relazione educativa. Non vuol dire che tutto dipenda dall’educatore, ma da lui dipende coinvolgere l’educando, instradarlo, esortandolo a superare, con il suo personale supporto, le difficoltà che autonomamente non sarebbe in grado di vincere.
Anche l’educatore vede realizzata nell’educando, grazie all’incontro, la possibilità di ampliare la propria visuale soggettiva.

 

6.2. Maritain – globalità della persona

Maritain (I18) fonda il suo piano pedagogico sul principio dell’educazione liberale che fornisce all’allievo non conoscenze settoriali e fini a se stesse ma assicura, primariamente, gli strumenti per decifrare anche i significati, liberando la capacità di autoriflessione del soggetto.

Il pedagogista considera l’uomo nella sua integralità, corpo e anima, conoscenza ed azione, la sua l’attenzione è centrata sull’intima profondità della persona, preoccupato dell’interiorizzarsi dell’influenza educativa.

In “Educazione al bivio” del 1943 denuncia quelli che sono giudicati errori dell’educazione contemporanea tra i quali emergono pragmatismo ed intellettualismo; al contrario Maritain spiega che il condizionamento sociale non può essere motivo dell’educazione ma che è fatto essenziale, prima di ogni altra cosa, di ogni individuo “farne un uomo”, integralità di sapere e volere.

Si lega alla tradizione classico cristiana il cui primo scopo educativo è far conoscere la verità. Riflette sulla necessità di assicurare e alimentare l’interna unità dell’uomo, che non può ricevere passivamente l’insegnamento ma deve  comprenderlo e trasformarlo attraverso l’attiva interpretazione personale.

 

6.3. Buber – principio dialogico

Nel saggio “Io e Tu” del 1923 Buber (I19) (E1) (E2) (S2) afferma  il fatto fondamentale dell’esistenza che è “l’uomo-con–l’uomo”, è infatti questa relazione che fa dell’uomo un uomo.

L’Io soggetto deve riconoscere nell’altro se stesso – l’Uomo – è aprire una breccia verso l’altro perché l’incontro possa essere motivo di trasformazione.

È una critica al soggettivismo, non si può riconoscere la propria esistenza senza l’altro.

La relazione Io-Tu ha una struttura colloquiale, in un continuo scambio di ruoli. Educazione è accogliere il mondo dell’interiorità dell’uomo in un’esperienza di reciprocità. L’educatore fa esperienza dell’altro e, attraverso l’accettazione della responsabilità che gli compete, accede alla pienezza interiore degli allievi.

Finalità dell’educazione è, per l’autore, il conseguimento di quel “grande carattere” che consiste nel promuovere autonomia e capacità di risposta alle diversificate richieste della vita.

Per Buber, filosofo del dialogo, l’ “esistenza autentica” si costruisce attraverso un percorso edificato sulla relazione educativa.
L’Io esiste e ha senso di esistere, se si volge al Tu, altrimenti rischia di perdere il valore e la dignità dell’esistenza; chi è lasciato solo a se stesso non sa e non può valorizzarsi.

Nell’insegnamento, nell’accostamento di una persona ad un’altra, nel fidarsi reciproco, nell’incontro, nel dialogo, c’è valorizzazione, occasione di unione fra gli uomini e pieno riconoscimento dell’alterità.

Il dialogo è, per Buber, il fulcro su cui si fonda l’incontro, e, in pedagogia, è la base di tutte le dinamiche della relazione educativa.
L’Io-Tu è la relazione autentica, in cui l’Io si costituisce come “esistenza autentica”, prende coscienza di sé, si “educa” e costruisce il proprio dialogo con l’Altro nella reciprocità.

Buber mette in luce la possibilità di fare affidamento anche all’autoeducazione, percorso funzionale alla consapevolezza della propria natura, legato all’intenzionalità e responsabilità.
La relazione educativa dialogale innalza l’uomo dandogli la possibilità di rispondere all’ “appello” che proviene dall’Altro, mettendo in pratica il proprio potenziale  di   responsabilità.                             
Si può affermare, con Buber, che l’educazione si attui nella relazione, e che sia fatto riguardante l’intera comunità, che non si chiude nell’esclusività del rapporto a due, ma coinvolge tutti, arrivando alla possibilità di porre la basi per l’esistenza di una società autentica.

 

6.4. Rogers – autorità esercitata a servizio dell’altro

Rogers (I45) (I46) pensa all’uomo come un fascio di potenzialità positive ed intrinseche che l‘educazione deve soltanto contribuire a sviluppare. Statunitense, esperto di psicoterapia, si occupa anche di scuola ed educazione.

Chi si cura di un altro – genitore, insegnante, educatore, terapista…- deve rafforzare gli aspetti positivi che costituiscono l’individuo, nell’ottica della relazione d’aiuto. L’educatore/docente ha la responsabilità educativa di cercare di favorire nel discente sviluppo, maturità e competenza ad affrontare la vita, nell’ accettazione incondizionata della sua individualità, senza giudicarlo né orientarlo direttivamente. Si tratta di relazione empatica, cioè di reciproca condivisione. L’educatore pone nella fiducia nel potenziale dell’altro la base per ogni relazione costruttiva ed educativa. Rogers ha una visione positiva della persona umana definita dalla possibilità di realizzazione personale, attribuisce il primato al rapporto di reciprocità, tendendo ad eliminare ogni potere di costrizione e di sopraffazione. Si educa attraverso l’ascolto, il dialogo e la ricerca comune di senso.

Il pensiero di Rogers, la sua teoria della non direttività, sono da considerarsi spunto di riflessione non solo per l’azione del formatore/insegnante, ma per l’educatore in generale, il quale si propone come compito cardine la scoperta e l’espressione della creatività e delle potenzialità dell’educando.

 

6.5. Guardini – incontro

Lo studioso tedesco (D1) (I20) si interroga sull’identità dell’uomo contemporaneo, il suo interesse è riaprire all’uomo contemporaneo le vie – che lui lega all’annuncio cristiano – per creare le condizioni perché si possa attingere alla dimensione della “totalità”, al di là di ogni soggettivismo. Totalità intesa come l’uomo stesso e la realtà tutta.

L’uomo deve riconoscere la sua povertà e i suoi limiti, aprendosi e donandosi nell’incontro. È infatti nell’incontro che si ha accesso alla realtà e ci si mette alla prova con accadimenti e circostanze.

Questo incontro si può svolgere in diversi modi e l’esperienza può diventare occasione per valorizzare libertà e dignità della persona.

Solamente nell’ “altro che diventa un tu per me” si ha la pienezza dell’esperienza umana.

L’ identità diviene capace di cogliere, attraverso l’incontro, il senso profondo dell’esperienza umana.

 

6.6. Ricoeur - etica della disponibilità

Filosofo francese (I21) (F1), ancora alla primitiva disposizione al bene dell’uomo, il suo modo di essere naturalmente votato a corrispondere ad un altro.

In “Se stesso come un altro” afferma il valore della persona  chiamata a realizzarsi non come un “io” ma come un “sé”, cioè nella forma analoga a quella di qualunque altra persona. L’attenzione e la cura che abbiamo dell’altro derivano dalla cura che abbiamo per noi stessi.

La nostra identità è manifesta soltanto nell’esposizione agli altri, nel sociale infatti possiamo palesarci e restare fedeli a noi stessi.

L’Altro è visto come un bene, un’opportunità, una risorsa; se non fosse possibile questa simmetria con l’Altro la pena sarebbe la perdita di identità.

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Edurete.org Roberto Trinchero