L'effetto Pigmalione di Emanuela Bagetto

Competenza pedagogica

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7.1. Credibilità dell’educatore

La competenza pedagogica è legata alla capacità di analizzare i diversi aspetti di una situazione educativa in cui agire in termini di credibilità attraverso l’affiancamento, il sostegno e la relazione.

Guardini esprime questo concetto in Persona e libertà affermando che la più potente “forza di educazione” consiste nel fatto che l’educatore per primo si protenda verso l’altro (I47), in un reciproco percorso di crescita. Individua tre radici della credibilità dell’insegnante/educatore.

Identifica la prima nella competenza nella propria materia e la capacità di insegnarla, ritenendo che sia basilare per generare il rispetto degli studenti.

La seconda radice si lega alla serietà ed alla passione con cui il docente svolge la propria professione e fa nascere ed aumentare la stima degli studenti nei confronti dell’insegnante.

La terza radice è quella affettiva  che genera l’identificazione e il paragone personale.

 

7.2. Cura – relazione – servizio

Possiamo e dobbiamo  considerare il soggetto dell’educazione sempre un singolo, sempre un’eccezione che non può diventare regola, nel  riconoscimento della specificità della persona umana.

La particolarità della competenza pedagogica è la progettualità educativa, elaborazione di un percorso intenzionale in cui il soggetto in-formazione prende forma (I48).

Gli educatori – genitori, insegnanti, formatori…- devono essere  agenti di trasformazione e cambiamento attraverso un’azione responsabile.

La cura educativa è intesa come atteggiamento di premura, attesa, gratuità; cura è farsi carico dell’Altro ed accompagnarlo per un tratto di strada aiutandolo a sperimentare il suo essere uomo. L’educatore deve essere consapevole che le capacità e le risorse del soggetto in-formazione non si sviluppano se non esiste un Altro che si prende cura di lui. L’evento educativo è nello scambio reciproco, è “cura” e “relazione”.

Il prendersi cura si esplicita nella relazione e nel dialogo, in un’asimmetria relazionale e comunicativa di “servizio”, cioè funzionale all’obiettivo pedagogico, non gerarchica.

Nell’incontro educativo esiste infatti un’asimmetria, un’autorità intesa come servizio, una superiorità funzionale che genera responsabilità, per poter essere guida in rapporto ai bisogni educativi del soggetto.

 

7.3. Prendere forma e dare forma

Dare forma sottolinea la necessità dell’intervento di qualcuno, prendere forma la capacità del soggetto di attivarsi. Il divenire della persona si costruisce in questa dialettica. L’educazione vuole raggiungere lo sviluppo globale ed integrale della persona, l’incremento delle potenzialità.

Per la Milani formare è creare le condizioni perché l’individuo possa prendere forma e darsi forma (come responsabilità personale), passaggio dalla potenza all’atto.

Prendere forma è riconoscere ed affermar l’unicità e irripetibilità del soggetto umano. L’uomo è l’originalità del proprio essere, prendere forma è la propria forma, nell’integralità della persona - corpo, psiche, relazione (I49) (I50).

Prendere forma è capacità di rielaborare, costruire significati, ricerca di personale progettualità, responsabilità della propria crescita che consegna il soggetto all’autoformazione, fine ultimo.

 

7.4. Socrate – maieutica

Attraverso l’ascolto, la comprensione, la comunicazione l’educatore deve riuscire ad essere maieuta (I22) (I23) (I24).     
La maieutica è l’arte dell’ostetricia, arte ostetrica spirituale della quale Socrate si serve per far venire alla luce il vero. Il metodo socratico si fonda sulla disponibilità ad aiutare congiuntamente gli altri e se stessi a trovare la verità, senza presumere di fornirla già compiuta. Socrate non si ritiene sapiente, assicura che la sua grande sapienza consiste nel saper professare la sua ignoranza. Non può essere, di conseguenza, dispensatore di verità, ma è colui che può aiutare gli altri a farla emergere dentro di loro. Come la levatrice aiuta a far venire alla luce un figlio non suo, Socrate aiuta gli uomini a trovare la verità, che egli stesso non ha generato e lo fa attraverso l’ironia, smontando false certezze e la presunzione di possedere un sapere compiuto e definito. All’esercizio  e alla conoscenza di questa sapienza Socrate connette la possibilità di una vita felice.

Condanna il sapere pragmatico, che non si pone come obiettivo il miglioramento del singolo ma lo spinge ad uniformarsi alla mentalità diffusa. L’esercizio della maieutica rimanda al riconoscimento di una verità che non può essere insegnata perché nessuno, realmente, può vantarsi di possederla, ma che ciascuno ha la capacità di generare.

L’uomo da solo può non essere consapevole delle risorse di cui è portatore, per questo è necessario  che qualcuno  lo aiuti a scovarle.                                 
Questa metodologia educativa richiede l’avvio di una relazione basata sul rispetto dell’altro ma principalmente di “lavorare insieme” , lasciando spazio alla libertà dell’educando.

Per il discente vedere nell’adulto il maieuta, deve equivalere a vederlo come una persona favorevolmente disposta  nei propri confronti, che ha la possibilità di aiutarlo e di cui si può  fidare. L’educatore deve quindi favorire il dialogo, disporsi all’ascolto, comprendere, camminare accanto e, nello stesso tempo, deve concretizzare il suo essere insegnante, animatore, amico, supervisore, accompagnatore, nella costruzione bidirezionale di una relazione dialogica e di confronto.

La maieutica fa parte dei presupposti della relazione educativa, in quanto l’educatore deve agire nei termini di “facilitatore del potenziale umano”. Essere maieuta vuol soprattutto dire rispettare e valorizzare le potenzialità umane dell’educando, in un percorso educativo che attui modalità di guida e strategie di accompagnamento, perché possa realizzare infine autonomia e responsabilizzazione.

Socrate nel dialogo con Alcibiade pone l’esempio dell’occhio e dello specchio: per vedersi occorre specchiarsi in qualcosa di simile a sé, in un altro uomo. L’uomo trova la sapienza, non la pone. L’uomo per giungere alla verità deve prima essere consapevole di sé, avere coscienza del proprio essere umano e questo è possibile solo mediante il dialogo, vale a dire il confronto con un altro essere umano, in cui è possibile, specchiandosi, conoscersi.

 

7.5. Stern – è il bambino ideale che forgia quello reale

Ogni nuovo nato viene al mondo carico delle aspettative dei genitori e delle famiglie che gravitano attorno.

Stern riflette su come durante i mesi di gravidanza la madre abbia convissuto con un bambino immaginario, al momento successivo al parto si dovrà incontrare con il bambino reale, sul quale graveranno le sue aspettative, avverrà quindi un rimescolamento di ruoli e di funzioni famigliari. Si considerano predizioni che si avvereranno in quanto la figura del bambino immaginario, ideale (I51), plasmerà quello reale secondo le aspettative e le fantasie dei genitori. In modo particolare la madre, nei riguardi del figlio nutre delle aspettative che possono essere di stimolo alla crescita ma possono anche intralciarne lo sviluppo.

Il compito principale dei genitori è aiutare il piccolo a raggiungere a pieno le proprie potenzialità anche se non sono le stesse che si aspettavano. Si può riflettere su quanto si proietti ingiustamente sui propri figli.

Tutti i bambini immaginari sono normali costruzioni della mente ma non devono potersi espandere  troppo per non portare il bambino reale verso ruoli non adatti  a lui o troppo pesanti, lontani dal suo esclusivo modo di essere. Il bambino che durante la gravidanza si è  immaginato rischia di snaturare così l’originale personalità del fanciullo reale.

   7/13   

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Edurete.org Roberto Trinchero