L'intolleranza razziale antiebraica di Giovanni Lauretta (giovanni.lauretta@fastwebnet.it), Fulvia Dellavalle (fulvia_dellavalle@yahoo.it), Daniela De Luca (dana.dl@libero.it), Maria De Luca (deindeit@yahoo.it)

L'archeologia e il problema delle origini

Il mammifero che abbiamo chiamato Homo sapiens [I1] [I2] [I3] [I4] [I5] [FR1] [FR2] [FR3] [FR4] [ES1] [ES2] è comparso sulla Terra in tempi molto recenti. Secondo le stime più aggiornate, la Terra ha circa 4,5 miliardi di anni. Le prime forme viventi, le alghe e i batteri, hanno avuto origine circa 2,2 miliardi di anni fa. L'epoca d'origine esatta della specie umana varia a seconda dei reperti scheletrici che gli archeologi ritengono di poter definire « umani". Durante gli ultimi 3,5 miiliardi di anni dell'era geologica più recente, il Pleistocene, si svilupparono parecchie specie di umanoidi. Certamente è possibile fare risalire l' homo sapiens ad un periodo interglaciale corrispondente a circa 1,5 milioni di anni fa (anche se le scoperte più recenti permettono di spostare tale data in epoche ancora più remote). Se paragonassimo la storia della Terra ad un orologio che scandisce le ventiquattr'ore, nel quale le frazioni delle varie ore corrispondono ai grandi periodi geologici e la mezzanotte all'epoca attuale, l'avvento dell'umanità avrebbe luogo solo alcuni istanti prima della mezzanotte.

Il concetto delle origini della specie umana da un'unica area comune, a parte la possibile localizzazione di tale area, ha costituito il tema di un acceso dibattito tra gli archeologi. In base alle testimonianze archeologiche attualmente'disponibili, sembra che l'umanità abbia avuto origine nel Vecchio Mondo e non nel Nuovo. Le ricerche attuali tendono a restringere la collocazione di tale area originaria all' Africa tropicale in generale e in particolare, all' Africa orientale. L'Asia viene attualmente considerata come un luogo d'origine secondario e non primario, mentre l'Europa non viene più presa in seria considerazione.

La differenziazione dell'umanità nelle tre razze principali (caucasica, mongoloide e nera) può con ogni probabilità aver avuto luogo contemporaneamente all'evoluzione delle popolazioni a partire dalle aree corrrispondenti ai nuclei originari. Verso la fine del Pleistocene (nel 25 000 circa a.c.) i gruppi umani si erano ormai diffusi sulla maggior parte delle terre emerse, eccetto l'Antartide.

La migrazione attraverso mari molto estesi pose alcuni problemi alle popolazioni dell'antichità; si ritiene che la diffusione abbia seguito le linee degli arcipelaghi (utilizzando le isole come tappe). Durante il Pleistocene i livelli marini subirono mutamenti considerevoli e i cosiddetti « ponti» continentali ebbero origine durante le principali ere glaciali, allorché la maggior parte dell'acqua sulla Terra era imprigionata negli strati di ghiaccio, provocando un abbassamento del livello oceanico. Certamente a quell'epoca, tra la Siberia e l'Alaska al posto dello Stretto di Bering si trovava un ponte còntinentale. È necessario comunque sottolineare che i percorsi indicati costituiscono solo delle ipotesi e dovranno, con ogni probabilità, venire sostanzialmente corretti man mano che verrà raccolta una mole maggiore di testimonianze genetiche. A quanto pare, l'Europa occidentale, l'Africa meridionale e l'Australasia costituirono altrettante zone periferiche (situate cioè alla fine dei percorsi migratori) e le Americhe vennero colonizzate a partire dall' Asia orientale, probabilmente in una fase più tarda.

La scoperta di gran parte delle più piccole e remote isole oceani che risale comunque ad un passato recente. La datazione al radiocarbonio rivela che i primi insediamenti sulle Isole Hawaii potrebbero risalire fiino al 1200 a.c.; Charles Darwin intravvide le possibilità offerte dagli arcipelaghi ai fini della ricerca durante la visita alle Galapagos compiuta nel 1835. Da allora in poi, negli arcipelaghi è stata svolta una mole sempre maggiore di ricerche sulla diffusione della popolazione umana.

Se misuriamo la varietà degli esseri umani con criteri genetici, notiamo che la gamma più limitata di gruppi sanguigni o di caratteristiche biochimiche del sangue viene riscontrata proprio nelle isole più piccole e remote. Più controverso appare invece il fatto che tale modello possa aiutare anche a comprendere le diversità culturali. Le stime della popolazione mondiale totale in questo periodo remoto sono necessariamente vaghe. Dato che la popolazione viveva in piccole comunità che praticavano la caccia e la raccolta di cibo, possiamo ipotizzare che i valori di densità medi si avvicinassero a quelli dei gruppi pre-agricoli sopravvissuti fino ai giorni nostri, quali gli aborigeni australiani, caratterizzati da una densità della popolazione equivalente a circa 0,2 abitanti per km quadrati, o gli indiani Haida, sulla costa Nord-occidentale dell'America settentrionale, che hanno una densità di 0,5 abitanti per km quadrato. Queste densità suggeriscono una popolazione complessiva di soli 5 milioni, alla fine del periodo che precede l'avvento della agricoltura.

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Edurete.org Roberto Trinchero