L'intolleranza razziale antiebraica di Giovanni Lauretta (giovanni.lauretta@fastwebnet.it), Fulvia Dellavalle (fulvia_dellavalle@yahoo.it), Daniela De Luca (dana.dl@libero.it), Maria De Luca (deindeit@yahoo.it)

Primo Levi. Se questo è un uomo (1974).

“Se questo è un uomo” (1974) racconta l’esperienza dei campi di sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale, narrando la vita quotidiana, la lotta e l’organizzazione per la sopravvivenza dei prigionieri, per dimostrare gli orrori e la disumanizzazione nei campi. Il tono è neutro e lo sguardo è quasi quello scientifico di un sociologo. Arrestato nel febbraio 1944 in Italia, Levi è inviato al campo di lavoro di Auschwitz. Nella sua opera illustra le umiliazioni e la perdita della dignità umana che i nazisti fanno subire ai Giudei; descrive l’arresto, la deportazione, i lunghi mesi di sofferenza, la strenua resistenza per sopravvivere e salvare la propria dignità di uomo. Spiega il ruolo dei kapos, dei prigionieri comuni, scelti per la loro violenza, le gerarchie all’interno dei campi, i sistemi di promozione interna. La sua testimonianza vede ricorrere i temi del freddo, della fame, dell’assenza di solidarietà umana.

Il passo riportato si riferisce al momento dell’arrivo nel campo di concentramento. “ Il viaggio non durò che una ventina di minuti. Poi l’autocarro si è fermato, e si è vista una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata (il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni): ARBEIT MACHT FREI, il lavoro rende liberi. […] Che sete abbiamo! Il debole fruscio dell’acqua nei radiatori ci rende feroci: sono quattro giorni che non beviamo. Eppure c’è un rubinetto: sopra un cartello, che dice che è proibito bere perché l’acqua è inquinata. […] Questo è l’inferno. Oggi, ai giorni nostri, l’inferno deve essere così, una camera grande e vuota e noi stanchi stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pensare? Non si può pensare, è come essere già morti.[…]. Ma consideri ognuno quanto valore, quanto significato è racchiuso anche nelle più piccole nostre abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede: [...] Si immagini ora un uomo a cui , insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisognoso-, dimentico di dignità e discernimento [...]. Si comprenderà allora il duplice significato del termine “Campo di annientamento”, e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo”.

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