La condizione della donna nella famiglia dall'antichità ad oggi di Enrica Iozzi (iozzi@fauser.edu), Emanuela Coppa (ema@s-edp.it)

La donna e la famiglia in età moderna

La nascita della famiglia in età moderna

L’origine della cosiddetta famiglia moderna, caratterizzata da una struttura nucleare e da rapporti basati sull’intimità e sull’affetto tra marito e moglie e genitori e figli è una questione che ha creato un vivace dibattito tra gli studiosi. Le tendenze storiografiche più recenti non si accordano sul luogo e sulla cronologia, nonché sulle cause che hanno portato alla crisi del modello tradizionale patriarcale, fondato su relazioni di tipo autoritario. Anzi alcune tendenze mettono in discussione l’esistenza stessa dei due modelli di famiglia patriarcale e moderna, riguardo sia le strutture, sia le relazioni familiari.

Il termine famiglia in età moderna indicava gruppi diversi, a seconda dei tempi e dei luoghi in cui veniva usato: poteva designare tutto il gruppo coresidente, oppure solo la parentela, ma anche solo la servitù. A differenza dell’accezione odierna, si riferiva a quanti vivevano sotto lo stesso tetto. Oltre ai genitori e ai figli vi erano anche nonni e parenti più prossimi, ma anche la servitù domestica.

Le interpretazioni più recenti mostrano come nell’Europa preindustriale la maggior parte delle famiglie era di tipo nucleare, sia nelle zone urbane, sia in quelle rurali, e che erano poco diffuse le famiglie complesse. Gli studiosi hanno però messo in luce la difficoltà di individuare un unico modello evolutivo per l’Europa preindustriale, si deve parlare piuttosto di varietà delle strutture familiari. Questa varietà era dovuta a numerosi fattori che entravano in gioco: il regime di successione, in primo luogo, era vario, in quanto poteva seguire il modello “patrilineare” per cui il patrimonio andava al solo figlio maschio, oppure bilaterale divisibile, per cui la proprietà era divisa in parti uguali tra figli e figlie. Ogni ceto sociale aveva le proprie regole di trasmissione della proprietà: quanto più esso era elevato, tanto più complessa risultava la struttura familiare.

Indubbiamente, tra ‘700 e ‘800 ci sono stati numerosi cambiamenti e, anche grazie alla stabilizzazione demografica, dovuta alla diminuzione della mortalità, venne accelerato il passaggio dalla famiglia vista, come nel Medioevo, come unità di produzione economica, alla famiglia vista come unità di tipo emozionale. Verso la fine dell’età moderna la famiglia era fondata non più tanto sul rispetto dei ruoli, ma sull’attenzione alle persone; da qui si passò dall’autoritarismo alla scoperta dell’affetto.[En].[F][F] [F][S]

La condizione della donna e il nuovo rapporto moglie-marito.

Nell’Europa dell’età moderna la condizione delle donne nella famiglia era in generale di totale subordinazione: esse erano prima sottoposte all’autorità del padre, poi a quella del marito; non potevano compiere atti civili senza il loro consenso. Per quanto riguarda l’eredità, la tendenza era quella di concentrare la maggior parte del patrimonio nelle mani dei maschi primogeniti; le donne erano escluse dall’eredità. Il futuro delle ragazze dipendeva dalla disponibilità della dote; a quelle che non si sposavano non restava altro che la vita nei monasteri.[S] Proprio la condizione della donna diede avvio, nel ‘700, a un dibattito in tutta Europa, riguardo la loro educazione, il ruolo pubblico e domestico e il comportamento da adottare nel matrimonio. Non mancarono lettere che denunciavano l’assoggettamento delle donne e donne che denunciarono la loro condizione. L’atteggiamento prevalente assegnava alle donne il ruolo tradizionale: esse erano per natura destinate alla procreazione e alla vita domestica.

Riguardo alle relazioni tra marito e moglie, una delle caratteristiche della famiglia moderna è stata individuata nell’esistenza di rapporti d’amore tra coniugi: gli storici parlano di “sentimentalizzazione” ed “erotizzazione” dei rapporti di coppia, un processo che avrebbe accompagnato il passaggio dal matrimonio, inteso come contratto, al matrimonio, fondato sull’amore romantico. A livello giuridico il diritto scritto romano attribuiva al capofamiglia un enorme potere su moglie e figli. Una norma stabiliva che era condizione essenziale delle donne il portare la dote al coniuge: la dote, come accadeva in antichità, veniva gestita dal marito e tornava alla moglie se essa restava vedova [I].[En].

È anche vero che, in un primo tempo, la scelta del coniuge fu influenzata da motivazioni economiche e di interesse, non certo dall’amore. Il passaggio dal matrimonio combinato a quello affettivo fu molto lento e gli studiosi ne hanno dato spiegazioni differenti: secondo L. Stone, il matrimonio d’amore, fondato sull’individualismo affettivo, sarebbe sorto in Inghilterra all’inizio del ‘600 nell’alta borghesia, in concomitanza con l’affermazione dell’economia di mercato e con la conseguente mobilità sociale, poi avrebbe coinvolto anche l’aristocrazia e gli altri gruppi sociali . Secondo, invece, Shorter, l’amore romantico sarebbe nato nella seconda metà dell’700, nella fase di industrializzazione, in particolare tra il ceto operaio, portatore di una rivoluzione sessuale e romantica, ossia di una cultura non più repressiva e frutto del distacco dalla famiglia, dovuto all’inurbamento[I].

La condizione della donna, cui era riconosciuto il ruolo dell’educazione della prole, non ebbe mutamenti significativi, per cui essa era sempre relegata alla funzione domestica e materna. Il Codice Napoleonico del 1804 fondò un Diritto di famiglia che riconosceva la dipendenza delle donne dall’autorità del marito, anche se, ponendo fine al sistema dell’erede unico, favoriva un processo di democratizzazione delle relazioni familiari. Il Codice introdusse una nuova concezione del matrimonio, inteso come patto tra individui e non più tra famiglie[En][S]. Abolì la patria potestà oltre la maggior età dei figli; nell’ambito della famiglia coniugale, priva di controlli di parentela e di maschi anziani, la donna venne sempre sottoposta all’autorità del marito, confermando il divario tra uomini e donne all’interno della famiglia.

La scelta del marito dipendeva dalle classi sociali, le donne non si sposavano con uomini delle classi inferiori: le aristocratiche con nobili, le lavoratrici agricole con braccianti. Il matrimonio non era visto solo come il destino naturale della donna, ma come un preciso agente metamorfico, che trasformava la donna in una entità sociale ed economica differente, membro di una nuova famiglia. Il ruolo del marito era quello di fornirle un riparo e di provvedere al suo mantenimento; lo scopo del matrimonio era la riproduzione e la continuazione della specie. L’età matrimoniale avanzata faceva sì che le famiglie fossero di piccole dimensioni: nascevano dai 4 ai 5 figli dei quali solo due o tre raggiungevano l’età adulta. Le famiglie della classe media e dell’aristocrazia erano più grandi.

I modelli di matrimonio in età moderna.

Gli studiosi hanno messo in relazione la struttura della famiglia con l’età del matrimonio: immaginando una linea ideale che congiunge Trieste a S. Pietroburgo hanno notato che ad ovest della linea dominava il modello nucleare e il matrimonio, anche prima della industrializzazione, era tardivo (26- 27 anni per gli uomini; 23-24 per le donne) e più alto il numero di celibi. Ad est della linea, invece, dominava il modello complesso e il matrimonio era precoce, più raro il celibato.

In Europa nord-occidentale (Paesi Scandinavi, Inghilterra, Paesi Bassi) l’età del matrimonio era alta e sarebbe legata alla tradizione secondo cui i giovani sposi andavano ad abitare da soli, dopo aver accumulato il denaro necessario per mettere su casa. Le giovani coppie, in questo modo, avrebbero creato delle famiglie nucleari. In zone dove i giovani si sposavano precocemente (20 anni per gli uomini, 16-17 per le donne) venivano creati dei modelli di famiglia complessi.

L’antropologo Goody mette in evidenza la necessità di non legare troppo la comprensione delle strutture familiari al valore esplicativo dei modelli, specialmente in una ricostruzione della storia della famiglia di lungo periodo, che parte dalle società primitive. In questo modo lo studioso ridimensiona la categoria interpretativa usata da Stone, ossia l’individualismo affettivo . L’aspetto curioso è che la diffidenza verso modelli ben definiti di matrimonio non giunge dagli storici, ma dagli antropologi. Alla luce di questo possiamo dire che la categoria di Stone non è tanto un modello, ma un metodo, un approccio al problema che si presta a istituire confronti con altri campi dove emerge la categoria di individuo.

La donna e il lavoro.

Nella società dell’epoca ci si aspettava che le donne delle classi lavoratrici si mantenessero da sole, sia prima, sia dopo il matrimonio. Nonostante, però, l’obbligo di lavorare per mantenersi, la società non riteneva che le donne potessero vivere in uno stato di completa indipendenza. La donna indipendente veniva vista come qualcosa di innaturale e detestabile: questo si rifletteva nei salari medi femminili, per cui una donna poteva essere pagata di meno perché c’era un uomo che provvedeva a lei.

L’obiettivo della vita lavorativa della donna nubile era risparmiare il più possibile il costo del suo mantenimento alla famiglia e accumulare la dote, sviluppando capacità lavorative specifiche per attirare il marito. L’80% delle ragazze di campagna lasciava la famiglia all’età di 12 anni: dal momento della partenza iniziava la vita lavorativa della giovane europea media, che durava 10-12 anni. La maggior parte delle ragazze aspirava a un posto di servitrice residente in una fattoria. Per le donne il lavoro residenziale nel settore agricolo era limitato alle aree delle grandi fattorie, con annesso caseifici e produzione di formaggio e burro, che spettava alle donne. Le ragazze che non trovavano una fattoria nelle vicinanze di casa, si recava in città per fare l’inserviente o la donna di fatica. I lavori migliori erano ottenuti mediante conoscenze familiari.

La manodopera femminile a basso costo svolse un ruolo importante nello sviluppo dell’industria tessile europea (es. industria della seta di Lione). Le ragazze di 12- 14 anni iniziavano a lavorare come dipanatrici di bozzoli. Sempre per le ragazze c’era l’industria del merletto [I].[S][F]

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Edurete.org Roberto Trinchero