L'effetto Pigmalione di Emanuela Bagetto

Strategie educative e d'apprendimento

3

 

11.1. Vygotskij – componente cognitiva ed affettiva

Vygotskij, studioso russo, afferma che, essendo gli esseri umani inseriti in una matrice socioculturale, la formazione del bambino avviene attraverso la relazione, considerando quindi non solo la componente cognitiva, ma anche l'intreccio fra sviluppo emotivo e sviluppo cognitivo. In quest’ottica  l’ambiente può limitare o favorire il suo sviluppo (I25) (I65) (I66) (I67).

Sono le interazioni con le altre persone all’interno dei vari contesti sociali e gli “strumenti psicologici” usati in quelle occasioni, come ad esempio il linguaggio, che plasmano il bambino. Gli psicologi socioculturali, in concordanza con lo studioso, considerano il bambino in un contesto che lo definisce e lo plasma e dal quale ne è plasmato. Sottolineano come i bambini partecipino ad attività culturalmente organizzate come riti, narrazioni e strutture scolastiche attraverso routine famigliari e societarie. Cambiamenti evolutivi nella partecipazione sono legati a cambiamenti nella cognizione.

Le varie funzioni psichiche (percezione, emozione, memoria, pensiero, immaginazione, volontà) non hanno ciascuna una propria linea di sviluppo separata, ma costituiscono un sistema, in cui lo sviluppo di ogni elemento modifica il funzionamento degli altri.

Come osserva Vygotskij, "diventiamo noi stessi attraverso gli altri”. Conosciamo gli altri attraverso la socializzazione primaria, in cui il bambino impara a conoscere l'altro e come l'altro lo interpreta, e in tal modo apprende a conoscersi. Perciò il linguaggio, importante mezzo di interazione con gli altri, è anche uno strumento di comunicazione fra l'uomo e se stesso. Da qui l'importanza di quella che Vygotskij chiama relazione tutoriale, che incoraggia lo sviluppo. La differenza fra i problemi che il soggetto è in grado di risolvere in modo autonomo  e quelli che risolve in collaborazione ad adulti o pari più capaci, è  chiamata "area dello sviluppo prossimale o potenziale".

L’apprendimento è possibile per l’esistenza dell’intersoggettività. Si cresce attraverso relazioni significative, una sorta di grande contenitore, in cui gli stimoli culturali costituiscono una specie di impalcatura, scaffolding, come viene definito dagli psicologi.
Si tratta di un’impalcatura temporanea che sostiene operai e materiali coinvolti nella costruzione di un qualunque edificio; allo stesso modo  molte persone esperte – genitori, insegnanti, educatori… -  sostengono provvisoriamente le abilità emergenti di un bambino, il quale costruisce così, attivamente, la nuova conoscenza e le nuove abilità.

Vygotskij riflette sulla natura dinamica dello sviluppo e dell’interazione sociale; si può mettere in risalto che il comportamento del bambino influenza il comportamento dell’adulto quanto quello dell’adulto influenza quello del bambino. Secondo il pensiero del ricercatore infatti la modificazione della conoscenza dei bambini, cioè l’apprendimento, è un naturale sottoprodotto della loro partecipazione al pensiero collettivo, non un’idea esterna che si infiltra nella mente. Si potrebbe dire che il bambino “è” ciò che “può essere”, pensando a ciò che i bambini sono in grado di fare da soli rispetto a ciò che possono realizzare con la cura e l’assistenza di altri.

Le esperienze all’interno di una relazione ben condotta forniscono opportunità per imparare ad assumere la prospettiva dell’altro e a risolvere i conflitti. Il bambino è un essere attivo, intrinsecamente sociale, il suo agire si verifica nel contesto delle azioni altrui, ogni attività comunitaria  interiorizzata e trasformata cognitivamente viene portata dal piano interpersonale a quello intrapersonale. Il genitore segue e precede lo sviluppo del figlio come l’educatore si relaziona al discente in modo corrispondente ai livelli di sviluppo e maturità che, nel tempo, manifesta, dal  punto  di  vista  di  una  crescita  potenziale.                     .
Vygotskij dà quindi importanza all'interazione nel processo di apprendimento, che diventa un elemento strutturante di azione mediata finalizzata alla crescita nella relazione e legata allo sviluppo emotivo.

È infatti nell’interazione che il pensiero può divenire autonomo.

Se mal interpretati e, soprattutto, mal gestiti, periodi critici dello sviluppo - manifestati in  comportamenti oppositivi, negativi e ostinati - possono portare conseguenze estreme come profondi ritardi nello sviluppo di affettività e volontà, danneggiando percorsi relazionali in età successive. Ogni esperienza sociale contiene in sé tutta una serie di rimandi percettivi, emotivi, cognitivi che contribuiscono alla formazione dell’individuo. 

 

11.2. Ruolo della famiglia

La famiglia è per ogni fanciullo il punto di riferimento - ricercato o fuggito - all'interno del quale testare il proprio sviluppo. Una felice interazione è basilare all’interno della famiglia ma anche i conflitti, inevitabili, sono costruttivi. Non tutti gli aspetti del rapporto intrafamigliare sono però positivi, come abbiamo visto, l’iperprotezione genitoriale può limitare pesantemente l'autonomia e la fantasia del ragazzo rendendolo dipendente, l’autorità eccessiva e l’ostilità possono rafforzarne l'aggressività.

Le dinamiche relazionali all’interno della famiglia sono fondamentali per la formazione del fanciullo, che all’interno di essa si sperimenta e si valuta. Le aspettative dei genitori relativamente alle capacità del bambino sono fondamentali perché esse fioriscano effettivamente. Il ragazzo sottovalutato, svilito continuamente dai famigliari, difficilmente riuscirà ad emergere in quanto sarà più facilmente sopraffatto da tali considerazioni da uscirne sconfitto.

Chiunque, non apprezzato abbastanza, non motivato e non stimolato, potrebbe convincersi di non essere in grado di portare a termine differenti compiti e questo lo porterebbe a non riuscire più a compierli, in un circolo vizioso. Queste dinamiche sono attive in ogni famiglia, non soltanto in quelle problematiche.

Spesso, incautamente, il genitore tralascia di incoraggiare il figlio non ritenendolo necessario.

È importante che ogni bambino, a livello emotivo ed affettivo, percepisca la vicinanza dei propri genitori, dei propri famigliari ed il loro coinvolgimento al proprio processo di crescita. Deve sentire la loro fiducia nelle sue possibilità, nella sua capacità di costruirsi il futuro.

 Il riuscire a comunicare queste certezze, anche attraverso modalità non verbali, potrebbe, molte volte, evitare percorsi esistenziali disagiati e problematici.

Diverse ricerche su bambini con ritardi mentali di grado lieve-medio hanno rilevato che i migliori risultati in alcune attività, quasi alla pari con i normodotati, avvenivano quando la famiglia incoraggiava tali performance, “ci credeva”. Quando la famiglia sminuiva ogni successo non credendolo possibile lo sviluppo cognitivo effettivamente si bloccava, tali ragazzi addirittura regredivano quando non erano supportati dalla fiducia dei famigliari nelle loro potenzialità. Si può ragionevolmente ritenere che tali meccanismi interessino tutti e non soltanto gli individui con difficoltà cognitive.

 

11.3.  Ruolo dell’insegnante – educatore

Possiamo affermare, con Brezinka (I68),  che uno degli scopi comuni sul piano delle finalità educative che condividono scuola e famiglia, è quello di dare ai bambini la fiducia nella vita e nel mondo.

Il tipo di relazione che un ragazzo instaura con i propri insegnanti può davvero aprirgli gli orizzonti, non solo del sapere ma esistenziali. Non tutti gli insegnanti sono consapevoli dell’importanza di riuscire a costruire un rapporto significativo con i propri alunni.

Quella che si instaura tra l’insegnante e l’allievo può essere definita una relazione d’aiuto, in quanto ci troviamo di fronte a uno che  offre  e ad un  altro che accetta  tale  aiuto.
Possiamo evidenziare la reciprocità dei rapporti formativi, genitori ed educatori contribuiscono allo sviluppo della personalità dei figli-educandi ma anch’essi hanno influenza sulla loro personalità (I57).

La Pavone chiarisce come i docenti dovrebbero essere in grado – prima di tutto - di riconoscere negli alunni gli stati di difficoltà famigliare, sociale o culturale, manifesta o nascosta, per poter dedicare ad essi una più specifica cura e attenzione educativa.

È indubbio che in una buona relazione di insegnamento/apprendimento non debbano trasmettersi solamente capacità e contenuti, ma anche modalità di relazione e approccio verso il prossimo. La funzione docente evoca la funzione genitoriale di contenimento e interiorizzazione degli aspetti contestuali dell’esperienza di apprendimento. Tale funzione si sviluppa all’interno di uno spazio relazionale in cui è necessario cogliere ogni emozione, ogni sentimento che possa supportare le modalità di apprendimento del discente.

Ognuno di noi, bambino, adolescente, adulto, in quanto persona distinta da ogni altra per cultura, trascorsi, qualità di vita, può avere una intelligenza decisamente brillante, creativa, senza per questo riuscire ad esprimersi pienamente, in tutte le sue potenzialità perché gli manca quella fiducia interiore che spinge a realizzare i propri obiettivi. Queste possibilità latenti sono influenzate dalle persone da cui è circondato, dall’ambiente in cui vive, dalle relazioni personali e sociali. Nel caso si evidenzino carenze o mancanze di stimoli emotivi in questo ambito, le possibilità non riusciranno ad emergere.

Ciascun insegnante sviluppa una metodologia lavorativa personale conforme al proprio punto di vista sulla funzione docente. È importante che l’adulto-educatore si renda conto dell’importanza di favorire e stimolare la diversità, la creatività, la divergenza, per non soffocare i “talenti” di ogni ragazzino, diversi da quelli di ogni altro.

Chi considererà prioritario lo svolgimento del programma scolastico con i suoi rigidi obiettivi, non permetterà facilmente che il carattere di divergenza con cui si sanno esprimere alcuni allievi possa emergere. La gratificazione per un docente dovrebbe essere la consapevolezza di essere co-autore di un cammino importante da parte dell’alunno, di formazione e di esplicitazione del proprio sé sempre più maturo.

L’insegnante deve essere mezzo significativo di stimolazione ed incoraggiamento per ogni allievo, che deve sentirsi libero di essere se stesso senza imbarazzi e confronti.

È quindi necessario aiutare ognuno a trovare la propria strada, che non è la stessa per tutti, ma che si conforma al carattere esclusivo di ogni fanciullo, all’ambiente in cui vive, agli affetti che lo circondano, alle difficoltà che incontra.

 

11.4. L’insegnante efficace

L’insegnante che ha a cuore la formazione dei propri studenti sente la necessità di essere partecipe, anche emotivamente, al processo di acquisizione e crescita dei propri studenti. È quello che si definisce  approccio "spontaneistico" all'insegnamento.

L’insegnante deve essere professionalmente ed umanamente motivato perché il ragazzino possa trovare in esso un riscontro alla sua motivazione, in modo complementare. Il processo educativo deve comprendere la capacità dell'insegnante di suscitare e mantenere elevata la motivazione in se stesso e nei propri studenti. Deve avere fiducia nelle proprie  possibilità ed in quelle dei propri studenti, riuscendo ad esprimere questo suo convincimento in più modalità, verbali e non verbali, gestuali, emotive, affettive. Il docente efficace comunica con i propri studenti infatti anche attraverso la mimica, usando segnali non verbali di incoraggiamento, annuendo, sorridendo, consapevole dell’importanza di uno sguardo tranquillo, attento e diretto.

È necessario essere consapevoli che gli errori sono inevitabili per ognuno, che la critica deve essere costruttiva e non si deve legare alla personalità, si valuta, correggendolo,  l’errore e non la persona dello studente (I71) (I72).

Per Losanov (S4) (I69) (I70) l'insegnante deve avere tre caratteristiche fondamentali: dinamismo, spontaneità, delicatezza per riuscire a suscitare nei propri allievi quella partecipazione necessaria per rendere apprendimento e relazione realmente efficaci.

Riconoscendo qui il ruolo delle aspettative legate all’effetto Pigmalione possiamo affermare con sicurezza che otterrà risultati sicuramente migliori di un insegnante che non crede nelle capacità dei propri studenti, non ha fiducia nelle loro possibilità e non è in grado di instaurare un buon clima di classe ed una buona relazione con i ragazzi, pur mantenendo gli obiettivi didattici istituzionali.                                        
L’interesse per la persona che si ha di fronte, prima che per l’allievo, qualunque sia la sua nazionalità, il suo passato,  la sua situazione famigliare, è esercitare un’umana comprensione che può diventare scintilla in grado di suscitare entusiasmo, partecipazione e motivazione nei discenti.  
Liberare le potenzialità dei propri studenti, assecondarle, supportarle, si lega anche alla capacità di ascoltare, di dialogare, stimolando chi è restio, creando un rapporto costruttivo e veritiero che potrà lasciare nei ragazzi un ricordo ed un modello a cui attingere nel personale percorso di vita.

 

11.5. Cosa vuol dire educare – insegnare

Educare ed insegnare presuppongono la capacità di operare una relazione d’aiuto alla persona considerata nella sua globalità, nella sua interezza. L’insegnante deve essere lontano dal prendere in considerazione il modello semplicistico del "travaso", secondo il quale l’allievo è un contenitore in cui vanno travasate le conoscenze. L’educatore non può pensare di avere a che fare con una patologia o una situazione di disagio ma deve credere di avere a che fare con un essere umano che ha le sue caratteristiche, positive o no, ma che comunque merita rispetto e attenzione. Ambedue devono riuscire a comprendere il linguaggio del ragazzo, regredendo al suo livello, confrontandosi con quella una parte di sé molto profonda, a quel bambino che è ognuno. Si tratta di una vera e propria regressione, ma una regressione non patologica, che è quindi in grado di gestire nel medesimo tempo sia il ruolo del bambino sia quello dell’adulto e che permette una maggiore e più piena comprensione dell’animo infantile o adolescenziale.

La funzione che deve prevalere in questo tipo di professioni è quella di accompagnamento, di guida non direttiva.

 

11.6. Quale formazione per gli insegnanti, educatori, genitori

Il percorso di formazione per educatori in genere – comprendendo nel termine genitori, insegnanti, formatori e chiunque accompagni un fanciullo nel cammino di crescita – dovrebbe portare il più vicino possibile alla consapevolezza e all’importanza del proprio ruolo.

L’obiettivo finale è certamente la crescita complessiva degli figlio/allievo, ma bisogna necessariamente considerare la molteplicità di strategie utilizzabili per giungere a tale meta. Strategie autoritarie, direttive, condizionanti non sono infatti adeguate se si intende agire nel rispetto della persona in formazione. Il ragazzo deve innanzitutto essere soggetto attivo, interprete dell’esperienza che sta vivendo. Deve potersi assumere la responsabilità dell’apprendimento che deve essere significativo perché opportunamente motivato.

La consapevolezza che si detiene il potere di condizionare con il proprio comportamento aspetti emotivi e relazionali, psicologici legati all’autostima e alla motivazione, riuscendo infine a determinare successo o insuccesso in un fanciullo, dovrebbe portare ogni educatore ad agire con cautela e prudenza, modulando atteggiamenti e controllando stati d’animo.

È necessario che tenere sempre presente che il bambino non si limita ad assimilare l’aspetto di "contenuto" della comunicazione, ma anche, e soprattutto, quello di "relazione", assumendo nei confronti delle situazioni specifici atteggiamenti, che saranno le basi per le strutturazioni psichiche che orienteranno il suo comportamento e che, nel tempo, determineranno la struttura dell’intera personalità.

La considerazione importante è che ciò che noi crediamo, speriamo, sogniamo, vogliamo per quel bambino non è necessariamente quello che lui desidera, sogna per sé, e spesso non è nemmeno adeguato alle sue potenzialità. La formazione più adatta a questo tipo di professioni - o vocazioni – è quella che mette al primo posto la persona del fanciullo, che solo secondariamente è alunno e figlio ma primariamente individuo con capacità, doti, potenzialità tutte da scoprire e valorizzare.

 

11.7.  Paradigma costruttivista

Il paradigma del costruttivismo o cognitivismo ecologico rivolge l’attenzione al contesto e relazione soggetto-contesto, in contrasto con i  metodi comportamentisti e con quella  elaborazione di tassonomie educative che avevano l’obiettivo didattico di confrontare prestazioni  osservabili, misurabili e quantificabili, valutando con metodi strettamente quantitativi e  che mettevano a confronto obiettivi didattici e risultati ottenuti da prove oggettive, strutturate e standardizzate. Per il costruttivismo l’insegnante è una guida. La Varisco (I74) (I75) considera come il ruolo degli studenti nel  processo di apprendimento sia mutato, sono diventati infatti protagonisti. Si è arrivati a pensare l’individualità determinata dall’interazione sociale (I73).

L’esigenza è che, chi si occupa di educazione, maggiormente all’interno della scuola, consideri l’educare un processo che utilizzi teorie  e modelli sociali per un apprendimento sempre più consapevole, responsabile, autonomo. Nel paradigma costruttivista le costruzioni vengono negoziate e condivise socialmente con lo scopo di ottenere una ”costruzione di con-senso”, attraverso metodi principalmente qualitativi. Il paradigma ritiene infatti che la “conoscenza valida” scaturisca dalla relazione tra membri delle comunità attraverso negoziazioni, in concordanza con la tendenza post-moderna che il filosofo neopragmatista Richard Rorty lega al voler superare le assunzioni moderne di una “realtà oggettiva”, il concetto di validità è creato da una comunità narrativa soggetta alle condizioni temporali e storiche. Anche Lincoln e Guba ritengono che il “rigore interpretativo”, in opposizione al “rigore metodologico” sia una forma più consona ai nuovi paradigmi. Abbagnano considera il linguaggio uno strumento per affrontare situazioni esistenziali. Considerano quindi, Con Bateson, la conoscenza una costruzione.

Bateson considera la formazione “incontro tra due intenzionalità”, pensa all’educatore come facilitatore di connessioni con l’ambiente.

Rorty (I76) osserva come ogni sistema educativo dovrebbe comprendere in modo complementare socializzazione ed individualizzazione, la prima per favorire acquisizione di valori morali, culturali e la seconda per sviluppare un pensiero divergente che possa suggerire nuovi percorsi.

Un’esperienza davvero educativa e positiva si deve inserire in un continuum formativo che riesca a produrre arricchimento ed espansione per l’individuo, in un progresso di forze umane, fisiche ed intellettuali in accordo.

Jonassen individua  in: costruzione, contesto e collaborazione, gli elementi fondamentali per favorire un ambiente d’apprendimento positivo nell’ottica del costruttivismo sociale. Possiamo considerare il pensiero di Vygotskij  radice delle riflessioni costruttiviste, nelle sue varie ramificazioni.

In seguito alle sue ricerche, Leont’ev e Cole studiano il ruolo della socialità in generale, del contesto e della cultura nell’attività cognitiva.

Rogoff ritiene che ogni  riflessione su attività con fine educativo debba contenere l’analisi di tre forme di cambiamento possibili: nella partecipazione del soggetto – quindi sul piano personale; nelle relazioni tra i partecipanti – piano interpersonale; nelle istituzioni e tecnologie – piano comunitario. Si spiegano così prestazioni diverse al variare della cultura d’appartenenza dell’individuo che l’elabora. Questo approccio situazionista - socio-culturale – considera l’apprendimento come una pratica sociale, contestualmente situata, ritenendo aspetto importante l’atto di appartenenza alla comunità.

Varisco reputa  – rifacendosi a Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio e Kuhn - che il problema della scuola dovrebbe essere quello di sviluppare la naturale e genuina predisposizione ad apprendere dell’individuo creando contesti di apprendimento in parte simili a quelli della vita reale (sociali e significativi e non fittizi, artificiali come, troppo spesso, sono quelli scolastici), che offrano una molteplicità di scaffolding (compresa la figura dell’insegnante/esperto) che guidi, modelli e concorra a mettere in crisi le conoscenze e le teorie ingenue di ciascun allievo, facendo leva sull’interazione sociale, sull’uso di tecnologie che sorreggano i processi di ricerca e su progetti educativi dotati di scopo reale e visibile, mediando tra le conoscenze negoziate e condivise in classe e quelle “accademiche”, momentaneamente condivise e proposte dalla “comunità degli scienziati”.

Emergono negli ultimi vent’anni nuove modalità di valutazione, in alternativa a quelle tradizionali, che rispondono alle esigenze della filosofia costruttivista, considerate più autentiche, in quanto ancorate alla vita reale, dinamiche in quanto volte ad un’analisi diacronica di sviluppo di potenzialità del singolo discente. Si lega ad un apprendimento che emerge dalle pratiche stesse - non più legato ad un compito con richieste specifiche e acontestuali - elaborate dall’insegnante per confrontare e giudicare gli studenti, in una prassi di lavoro che incoraggia diversità e modalità diverse di partecipazione.

Varisco ritiene finalità dell’azione educativa consapevolezza, responsabilità, autonomia e consiglia l’utilizzo, quando fattibile, di alcuni strumenti didattici come:

·        un lavoro di classe o interclasse di tipo collaborativo – cooperativo che impegni studenti, insegnanti, esperti, genitori, visitatori esterni…

·        il confronto, la discussione, la negoziazione di significati all’interno della comunità che apprende, ricordando che l’insegnante, oltre a sostenere i processi di costruzione della conoscenza, deve mettere in crisi le idee semplici degli studenti e farsi mediatore tra queste ed il sapere accademico.

·        lo sharing, cioè condivisione e distribuzione di risorse sia umane, materiali, che tecnologiche.

·        la costruzione e la salvaguardia dei diversi livelli di identità, di organizzazione del lavoro in relazione ad obiettivi individuali, di gruppo e classe, di comunità scuola o comunità virtuale.

Wilson precisa come la concezione costruttivista pensi alla conoscenza come significati che una persona costruisce in interazione con il proprio ambiente e che conseguentemente tenda a concepire l’insegnamento come un incoraggiare il progetto dello studente con strumenti e risorse dentro un ambiente ricco di stimoli e risorse.

L’insegnamento si prospetta come ambiente d’apprendimento che richiede la piena partecipazione dello studente interagente  alle pratiche di una comunità d’apprendimento.

Cunningham e colleghi individuano i principali obiettivi educativi che possono aiutare la progettazione di ambienti d’apprendimento come definiti dai costruttivisti:

-          favorire l’esperienza attraverso il processo di costruzione della conoscenza, l’insegnante ne facilita il processo.

-          promuovere esperienze di comprensione attraverso molteplici prospettive, modalità di pensiero e risoluzione.

-          inserire l’apprendimento in contesti realistici e rilevanti evitando una conoscenza inerte.

-          incoraggiare la padronanza e la libertà dei processi d’apprendimento, sottolineando la centratura sullo studente e, nel perseguimento di obiettivi, l’insegnante è consulente che supporta.

-          inserire l’apprendimento in un’esperienza sociale (insegnante-studente, studente-studente…)

-          incoraggiare l’uso di molteplici modalità di rappresentazione, oltre a quella orale e scritta, come video, telematica, realtà virtuale…

-          promuovere l’autoconsapevolezza del processo di costruzione della conoscenza, autoanalisi dei propri processi di costruzione, attività metacognitiva e riflessiva.

Possiamo considerare che dalla Teoria sociale dell’apprendimento di Wenger applicata alla programmazione educativa emerga che il focus dell’insegnamento non equivalga a quello dell’apprendimento, l’insegnamento non è causa dell’apprendimento che è invece una risposta alle intenzioni pedagogiche del setting. L’apprendimento esiste infatti anche senza insegnamento. Il collegamento è legato a risorse e negoziazione, l’insegnamento è una delle risorse strutturali. L’insegnante è risorsa attraverso le sue intenzioni pedagogiche. Esiste un coinvolgimento di identità nella complessità delle situazioni vissute. Se quindi la programmazione educativa non è nei termini di consegna di un curricolo ma negli effetti sulle formazioni di identità l’importanza sarà data ai luoghi di coinvolgimento, ai materiali ed alle esperienze con cui costruire un’immagine del mondo e di se stessi, alla opportunità di avere effetto sul mondo rendendo le loro azioni materia di discussione ed offrendo opportunità di coinvolgimento.

Una rilevante funzione della programmazione educativa è ottimizzare l’interazione tra generazioni, insegnante, genitori ed educatori in generale che costituiscono le risorse dell’apprendimento non solo in relazione al ruolo pedagogico che svolgono ma in modo specifico attraverso la loro appartenenza a “comunità di pratica”. Varisco rileva l’importanza per un fanciullo di entrare in contatto con il mondo degli adulti, la ritiene una forma di accesso all’esperienza che connette gli studenti alla materia. È importante riuscire ad incoraggiare un mutuo coinvolgimento educatore-educando in un processo di apprendimento interattivo.

I metodi di istruzione non sono solo strumenti per l’acquisizione di abilità ma anche pratiche educative in cui gli studenti imparano a partecipare attraverso il  supporto di chi, nel proprio ruolo, partecipa con disponibilità e coinvolgimento.

Il costruttivismo socioculturale si focalizza quindi sulla possibilità di offrire a chi apprende ambienti per la costruzione di significato.

 

11.8. Apprendimento motivato - suggerimenti operativi

Reuven Feuerstein (I6) (I7) (I8) ha elaborato un programma di educazione cognitiva chiamato P.A.S. (programma arricchimento strumentale), prende il nome dai quattordici strumenti che lo compongono. Ogni strumento consiste in una batteria di esercizi carta e matita finalizzati al potenziamento di funzioni cognitive come la percezione analitica, l’orientamento spaziale e temporale, la classificazione, il confronto. Scopo delle singole prove non è la soluzione ma la messa a fuoco del processo mentale attraverso cui si arriva alla soluzione. Deliberatamente privo di contenuti specifici, il Pas favorisce il trasferimento delle abilità apprese ad altri contesti di vita, scolastici e professionali.

Il metodo si pone come obiettivo il potenziamento delle abilità cognitive dell’individuo. Viene applicato in ambiti diversificati, dal recupero di gravi ritardi mentali alla formazione di dirigenti d’azienda. È una applicazione della psicologia cognitiva alla pedagogia.

L'obiettivo principale non è imparare ad eseguire il compito, ma capire ed interiorizzare quali ragionamenti mentali sono stati utilizzati per portare a termine il lavoro assegnato.

Il pensiero umano viene scomposto nell'insieme di più operazioni elementari. Per compiere una operazione elementare bisogna utilizzare le funzioni base del cervello denominate "funzioni cognitive". Quando ci si accorge che l'allievo non riesce ad eseguire un compito, allora occorre individuare quali operazioni elementari non è stato in grado di applicare. Si tenta poi di insegnare ad utilizzare opportunamente le funzioni cognitive presenti, di sviluppare quelle non utilizzate oppure di sostituire l'operazione elementare con una sequenza di altre operazioni elementari che l'allievo è in grado di realizzare con maggior facilità.

Col metodo Feuerstein non si insegnano contenuti determinati, ma si ristruttura la modalità di pensiero degli allievi ed anche dell'insegnante.

Durante le lezioni viene data grandissima importanza a : verbalizzazione del pensiero, riflessione, condivisione, pensiero analogico. Menti diverse fanno ragionamenti diversi. La diversità va vista come ricchezza e permette di ampliare le proprie capacità di ragionamento. Grazie alla condivisione è possibile capire come risolvere un determinato problema in modi diversi con ragionamenti diversi. Inoltre la discussione con altre persone su un particolare argomento permette di avere un riscontro immediato della validità delle proprie tesi. Molte volte gli allievi sono in grado di risolvere un problema solo se proposto in un determinato modo senza riuscire poi a generalizzare il proprio ragionamento.

Una parte importante delle lezioni del metodo Feuerstein è dedicata al ragionamento analogico. Tanto più una mente è allenata a fare analogie, tanto più semplice diventa il trovare la soluzione ad un problema nuovo. La maggior parte dei problemi nuovi possono essere visti come problemi vecchi posti in un modo diverso.

Per poter lavorare con esperienze di apprendimento mediato è essenziale riuscire a capire :

  • quali sono le funzioni cognitive carenti,
  • quali sono quelle che possono essere sviluppate,
  • con quale velocità è lecito aspettarsi che l'allievo riesca a progredire.

Nel metodo Feuerstein i contenuti non hanno alcuna importanza e servono solo ai discenti per giustificare l'utilizzo di certe facoltà mentali. L'importante è ristrutturare cognitivamente l'allievo in modo che i suoi processi mentali siano il più possibile efficienti. Il fatto che poi con le proprie abilità l'allievo sia in grado di apprendere i contenuti relativi ad un argomento che gli interessa non è altro che un effetto secondario della ristrutturazione mentale.

   11/13   

Approfondimenti/commenti:

    Nessuna voce inserita

Inserisci approfondimento/commento

Indice percorso Edita
Edurete.org Roberto Trinchero