Le canzoni di Fabrizio De Andrè di Stefano Galazzo

Francois Villon

Francois Villon [E1][E2] [F1][F2][F3], poeta francese del Quattrocento, ispirò Fabrizio De Andrè [I1][E1][E2][E3] nella composizione di uno dei suoi concept album [I1] [E1] più riusciti e famosi, Tutti morimmo a stento [I1]. Numerosi, ad una attenta lettura dell'opera del cantautore ligure, sono i punti di incontro tra le sue canzoni [I1] [I2] [F1] e le ballate [I1] del poeta parigino. Va innanzitutto sottolineata l'attenzione nei riguardi dei ceti più bassi della società, l'amore per quei diseredati che diventano i protagonisti, prima ancora che delle canzoni [I1] [I2] [F1] di De Andrè, di quelle di Georges Brassens [I1] [I2] [I3] [E1] [F1] [ES1] [ES2], in modo del tutto particolare, e di Jacques Brel [I1] [I2] [E1] [F1]. In Villon, molti degli chansonnier [I1] [I2] [E1] [F1] [ES1] francesi videro un modello (che passerà proprio da loro a De Andrè e ai maggiori rappresentanti della canzone d'autore italiana [I1] [I2]) per la sua ironia mordace e irriverente nei confronti del potere, un esempio di libertà, spesso identificata con una forma di anarchia, e di un'arte che nasceva dal contatto con la vita di tutti i giorni e con la gente comune. L'ironia sottile e amara, a tratti macabra, di Villon, però, non si scaglia, come poi anche quella degli chansonnier [I1] [I2] [E1] [F1] [ES1], solo contro i potenti, ma anche nei riguardi dei supremi nemici dell'uomo: il tempo, che inesorabile scorre, e la morte. Un esempio significativo in tal senso è La ballade des dames du temps jadis [F1][E1] [E2] in cui il poeta francese si domanda che fine han fatto le celebri donne del tempo passato; questa ballata [I1] sarà messa in musica da Brassens [F1]. Sempre ispirandosi a Villon, Brassens comporrà Le testament [F1] [F&E], divenuta, con Fabrizio De Andrè, Il testamento [I1] [I2]. La morte, infine, è vista in tutta la sua crudezza soprattutto sul patibolo, dove i condannati spirano invocando la preghiera dei vivi nella celeberrima Ballade des pendus villoniana [F & I], che Fabrizio De Andrè trasformerà ne La ballata degli impiccati [I1] [I2] [E]. Nella versione dell'artista genovese, i condannati covano sentimenti di odio nella morte per la mancanza di pietà da parte di quei vivi che li vollero lì, appesi, senza mostrare alcuna carità fraterna.

Tra le maggiori differenze che possiamo notare tra La ballade des pendus di Villon [F & I] e la Ballata degli impiccati [I1] [I2] [E], scritta qualche secolo dopo da De Andrè [I1] [I2], c'è innanzitutto una mutata sensibilità, dovuta ai diversi periodi storici in cui i testi sono stati composti. Francois Villon è un rappresentante del Medioevo, fortemente influenzato dal cristianesimo. Lo si nota in modo molto forte proprio ne La ballade des pendus [F & I]. La pietà che gli impiccati domandano ai viventi porterà loro, come ricompensa, la benevolenza divina, ossia la grazia di Dio, il suo favore. Essi descrivono i propri corpi appesi, non per provocare il riso in chi li guarda, ma la pietà, e indurlo così alla preghiera; domandano pace, e ammoniscono i viventi a non commettere i loro errori. Si rivolgono a Gesù, affinchè non li lasci in balia dell'inferno: grazie alle preghiere degli uomini, essi potranno ricevere l'assoluzione da parte di Dio per i peccati commessi. Le loro parole non sono mai di odio; la pietà che invocano può anche venire intesa come ricerca di compassione, volontà di ascoltare le loro richieste e partecipare, di conseguenza, al dolore che li attanaglia. Lo schema proposto è qui chiaro: c'è Dio, a cui l'uomo rivolge le proprie preghiere, e che ne decide il destino ultimo; ci sono i vivi, a cui vanno le domande di intercessione degli impiccati; e in ultimo compaiono gli impiccati stessi, che vogliono rappresentare, in un certo senso, gli ultimi, i reietti, gli esclusi dal consorzio civile. Diversi i pendus deandreiani, che non hanno parole di amore ma covano esclusivamente odio e rancore verso chi li ha condannati a quella brutale fine o ha mostrato indifferenza per l'atroce morte che li attendeva. Non c'è, in De Andrè, possibilità alcuna di una salvezza ultraterrena tramite le preghiere degli uomini; gli impiccati, pur parlando da un al di là non ben precisato, non si pongono come peccatori che devono scontare una pena in attesa di una salvezza ultima che verrà per amore di Dio, ma come uomini che non avendo ricevuto per primi amore non riescono, in punto di morte e oltre la morte stessa, a provarne e a darne. Se La ballata degli impiccati [I1] [I2] [E] appare lontana, seppur simile in alcuni punti, alla versione di Villon [F & I] più vicini ad essa sono il Corale [I1] [I2] [I3] [I4] e il Recitativo. Due invocazioni e un atto di accusa [I1] [I2] [I4] [E1] [F] che concludono l'album Tutti morimmo a stento [I1], il primo affidato ad un coro di voci bianche [I1], il secondo declamato da De Andrè. I due brani possono essere considerati autonomi, ma la loro esecuzione avviene insieme, nel senso che la voce del cantautore ligure si alterna a quella dei bambini, fino alle stanze conclusive, che riassumono il significato più autentico dell'intero concept album [I1] [E1]. Il fine dell'esistenza, ciò che può dare un senso all'uomo e al suo vivere, è da ricercare nell'amore, nella pietà intesi come sentimenti laici, come solidarietà che nasce dalla consapevolezza del comune destino di morte. Se per il medievale Villon l'amore esiste in quanto dono di Dio, per il moderno De Andrè è nell'uomo stesso, come caratteristica della sua umanità, capacità di donarsi per non impoverire interiormente e perdere così la propria essenza, oserei dire, di essere sociale, nato per rapportarsi agli altri, e in questo rapportarsi ritrovare l'unica, vera felicità concessa: quella, appunto, del dono gratuito. Se ne La ballata degli impiccati i pendus del cantautore genovese non riuscivano ad esprimere altro che odio e rancore, qui, con gli altri reietti protagonisti del disco (prostitute e drogati), hanno il coraggio di lasciare un insegnamento agli uomini, una sorta di ammonimento: amate, prima che il sopraggiungere della morte, con la sua falce implacabile e improvvisa, non renda vane le vostre esistenze, che solo nell'umana pietà possono trovare significato autentico.

   8/10   

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Edurete.org Roberto Trinchero