Platone: La Repubblica, tra progetto e utopia di Giada Leonardi (giadaleonardi@yahoo.it) e Laura De Cantis (l.decantis@libero.it)

TEMATICHE DI APPROFONDIMENTO: IL MITO DELLA CAVERNA

“Immaginiamo vi siano schiavi incatenati in una caverna sotterranea e costretti a guardare solo davanti a sé. Sul fondo della caverna si riflettono immagini di statuette, che sporgono al di sopra di un muricciolo alle spalle dei prigionieri e raffigurano tutti i generi di cose. Dietro il muro si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette, e più in là brilla un fuoco che rende possibile il proiettarsi delle immagini sul fondo. I prigionieri scambiano quelle ombre per la sola realtà esistente. Ma se uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene, voltandosi si accorgerebbe delle statuette e capirebbe che esse, e non le ombre, sono la realtà. Se egli riuscisse in seguito a risalire all’apertura della caverna scoprirebbe, con ulteriore stupore, che la vera realtà non sono nemmeno le statuette, poiché queste ultime sono a loro volta imitazione di cose reali, nutrite e rese visibili dall’astro solare. Dapprima abbagliato da tanta luce, non riuscirà a distinguere bene gli oggetti e cercherà di guardarli riflessi nelle acque. Solo in un secondo tempo li scruterà direttamente. Ma, ancora incapace di volgere gli occhi verso il sole, guarderà le costellazioni e il firmamento durante la notte. Dopo un po’ sarà finalmente in grado di fissare il sole di giorno e di ammirare lo spettacolo scintillante delle cose reali. Ovviamente lo schiavo vorrebbe rimanersene sempre là, a godere, rapito, di quel mondo di superiore bellezza, tanto che ‘preferirebbe soffrire tutto piuttosto che tornare alla vita precedente’. Ma se egli, per far partecipi i suoi antichi compagni di schiavitù di ciò che ha visto, tornasse nella caverna, i suoi occhi sarebbero offuscati dall’oscurità e non saprebbero più discernere le ombre: perciò sarebbe deriso e spregiato dai compagni che, accusandolo di avere gli occhi ‘guasti’, continuerebbero ad attribuire i massimi onori a coloro che sanno più acutamente vedere le ombre della caverna. E alla fine, infastiditi dal suo tentativo di scioglierli e di portarli fuori della caverna, lo ucciderebbero”(Platone, La Repubblica, libro VII, 514a-517a).


Il mito della caverna [I1] [I2] [E1] [F1] [Es1] delinea perfettamente il viaggio interiore intrapreso del “vero filosofo” allorquando si stacca dal mondo sensibile per raggiungere la suprema Idea del Bene, per poi ritornare “tra i comuni mortali” e governare in maniera perfetta la città.
Quello che però stupisce non è tanto l’arduo cammino che l’ “illuminato” deve compiere prima di poter giungere alla sapienza assoluta – cammino che prende le mosse dai diversi gradi di conoscenza che Platone enumera – quanto il fatto che esso debba sentire nel suo animo l’altissimo dovere morale di fare ritorno nell’oscurità e portare alla “salvezza” i suoi vecchi compagni, persino a costo della sua stessa vita.
La conoscenza, già per Platone, non solo era comunicazione generosa del proprio sapere ma modo privilegiato per la instaurazione dei rapporti interpersonali e la caverna è, pertanto, la dimora dell’uomo privo di educazione filosofica e che, per questo, arresta la sua conoscenza al grado sensibile e materiale; è in questo senso che la grotta si fa emblema e metafora dell’intero mondo in cui viviamo, che è illusorio e ingannevole perché ci incatena ad un destino governato dalle passioni e dall’ignoranza. In esso noi uomini riusciamo a percepire soltanto l’ immagine superficiale delle cose, che il Nostro simboleggia con le ombre delle statuette ma anche riuscendo a vedere le statuette, e non le loro ombre, non si avrebbe una conoscenza reale e oggettiva dal momento che queste appartengono sempre al mondo sensibile, cui Platone fa corrispondere il grado conoscitivo della credenza.
I prigionieri, infatti, non sono coscienti della loro condizione di segregazione dalla verità e non riconoscono nemmeno la figura del filosofo come loro guida, al punto che non esiterebbero a condurlo a morte allorquando questi tentasse di educarli alla giusta visione delle cose (è palese, anche qui, la volontà di Platone ad alludere all’ingiusta morte di Socrate).
Ma al di là di tale dolorosa rimembranza, l’allegoria ha il compito di sottintendere altri due importanti significati: innanzitutto il vero sapere, cui giunge il filosofo allontanandosi dall’oscurità, gli permette di riconoscere i falsi saperi e i falsi valori portandolo così al di là dell’ignoranza terrena; e in secondo luogo, dopo la mirabile visione, egli sarà veramente in grado di criticare razionalmente tutto ciò che fino ad allora aveva ritenuto vero, e dunque reale, ma che adesso gli risulta erroneo e di ostacolo alla piena realizzazione del bene della comunità politica che si appresta a governare.
Ciò che rende il Filosofo un uomo eccezionale (che Platone distingue dalla massa) è non tanto l’aver raggiunto la contemplazione del Bene Assoluto, quanto il doversi distaccare da questa sublime visione e addirittura ridiscendere nell’oscurità. A quello che potremmo definire compito “professionale” se ne aggiunge uno di valenza “morale”: egli dovrà farlo per un altissimo senso del dovere, un dovere che è insito nel suo animo proprio perché l’educazione che ha ricevuto lo ha pian piano indotto alla giustizia più grande che porterà alla perfetta armonia nello Stato esemplare che sta delineando.

Quindi:

“è compito dei fondatori, quello di costringere le migliori nature ad accostarsi a quella disciplina che prima abbiamo definito la massima, vedere il bene e fare quell’ascesa. E quando sono salite e l’hanno visto pienamente, non dobbiamo permettere loro di rimanere colà […] senza voler ridiscendere presso quei prigionieri e partecipare delle fatiche e degli onori del loro mondo” (Platone, La Repubblica, libro VII, 519d).


Dovere che il “vero filosofo” non deve percepire come ingiusta costrizione, sgravato com’è da ogni sentimento egoistico e rivolto invece al fine ultimo dell’intera Repubblica che è, sempre e solo, l’equilibrio dell’insieme che si otterrà perseguendo il bene e l’interesse della società.
Non possiamo non rilevare come il mito della caverna ponga, infine, l’accento sull’importanza dell'educazione che è concepita socraticamente, come un qualcosa che si svela, si palesa grazie ad una predisposizione dell’animo alla conoscenza; istruirsi, quindi, non vuol dire ricevere passivamente delle informazioni ma, al contrario, scoprire nella propria interiorità, attraverso l’educazione, le proprie attitudini e virtù.

ESERCIZI:

1) Dopo aver letto attentamente il brano proposto suddividilo in paragrafi, dai un titolo, evidenzia le parole chiave e sottolinea quelle di cui non conosci il significato. Riformula con parole tue il contenuto del mito.

2) Spiega chi è il Filosofo per Platone e, facendo riferimento al contesto storico in cui visse, sottolinea perché nella Repubblica viene istituita una necessaria correlazione tra politica e filosofia.

   19/22   

Approfondimenti/commenti:

    Nessuna voce inserita

Inserisci approfondimento/commento

Indice percorso Edita
Edurete.org Roberto Trinchero