Effetto fotoelettrico e tecnologia fotovoltaica di Davide Mamone (davide.mamone@gmail.com), Paolo Gallina (alpin8@libero.it), Marianna Esposito (emmesposito@libero.it)

Scoperta dell'effetto fotoelettrico

Con il termine effetto fotoelettrico si indicano diversi processi di interazione tra la radiazione elettromagnetica e la materia: nel caso di interazione con la superficie di un metallo si parla di fenomeno fotoelettrico toutcourt, Nel caso di interazione con un gas si parla di fotoionizzazione; nella fotoconduzione [I1] gli elettroni del reticolo cristallino di un solido assorbono energia dalla radiazione incidente e divengono elettroni di conduzione. L’effetto fotovoltaico, invece, si manifesta quando un fascio di fotoni colpisce la superficie di un materiale semiconduttore [I2][I3]. Il primo a scrivere del fenomeno fotoelettrico fu Hertz che in un articolo del 1877 , “Sull’ effetto della luce ultravioletta sulla scarica elettrica”, descrive alcuni fatti sperimentali senza, però, “tentare una teoria riguardo al modo in cui i fenomeni osservati hanno luogo”. Hertz aveva osservato che la scarica elettrica tra due elettrodi è molto più nutrita quando gli elettrodi sono illuminati con luce ricca di raggi ultravioletti. Infatti, le scintille che si producevano tra due elettrodi di un circuito avevano il potere di provocare delle scintille anche in un secondo circuito posto nelle vicinanze del primo. Per vedere con chiarezza le scintille provocate anche nel secondo circuito Hertz pensò di oscurare la luce emessa dalle scintille del circuito primario mediante uno schema opaco. In tali condizioni la scarica del circuito secondario avveniva solo riducendo la distanza tra gli elettrodi. Poiché l’effetto si presentava sia con schermi isolanti sia con schermi conduttori, sia con una gabbia di Faraday che racchiudeva il secondario, fu scartata un’origine elettrostatica o elettromagnetica delle scintille Hertz trovò che l’effetto aumentava in un ambiente nel quale era stato fatto il vuoto e che le radiazioni provenienti dal circuito primario erano le responsabili dell’effetto. Tali radiazioni seguivano le leggi dell’ottica geometrica e avevano un angolo di rifrazione maggiore della luce visibile. Questo angolo corrispondeva a quello della radiazione ultravioletta delle scintille prodotte nel circuito primario ad originare l’effetto.

Nel 1888 W. Hallwachs mostrò che vari dischi metallici caricati elettrostaticamente di elettricità negative, perdevano la loro carica se erano colpiti da radiazione ultravioletta. L’effetto non si presentava su dischi caricati positivamente. Hallwachs stabilì che si trattava proprio di una perdita di elettricità negativa da parte dei dischi metallici e non di una produzione di elettricità positiva che andava ad annullare la negativa preesistente.

Contemporaneamente A.Righi mostrò che le superfici metallici esposte a radiazione ultravioletta si caricano di segno positivo. L’effetto è tanto maggiore quanto più la sorgente delle radiazioni è vicina alla superficie metallica e quanto più è estesa la superficie metallica. Chiamò fotoelettrico il fenomeno. Egli riteneva che la radiazione ultravioletta staccasse la molecola d’aria a contatto col metallo e nel distacco la carica positiva rimanesse sul metallo e la negativa, rimasta sulla molecola, fosse portata via con questa secondo le linee di forza del campo (fisicavolta.unipv.it/percorsi/pdf/Stato_solido.pdf).

Nel 1897 J.J. Thomson scoprì l’elettrone e misurò il rapporto e/m [I4]. Una serie di esperimenti [I5] [I6] lo convinsero che la corrente elettrica consiste in un flusso di elettroni che si sposta dal polo negativo al polo positivo. Sorgeva, dunque, immediata l’ipotesi che quella elettricità negativa che abbandonava placche metalliche irradiate da radiazione ultravioletta fosse costituita da elettroni. Nel 1899, Thomson, supponendo che la corrente elettrica rivelata nel fenomeno fotoelettrico fosse costituita da particelle in moto elettrizzate negativamente, stabilì teoricamente il moto di una di queste particelle sotto l’azione contemporanea di un campo elettrico e di un campo magnetico. L’esperimento confermò l’ipotesi di lavoro e come media il valore di e/m risultò dello stesso ordine di grandezza di quello trovato con le misure fatte con i raggi catodici.

I portatori di elettricità negativa del fenomeno fotoelettrico sono,dunque, della stessa natura dei raggi catodici.

Nel 1879 Edison scoprì che un filamento di carbone incandescente emette un flusso di elettricità negativa. Thomson analizzò anche questo flusso sottoponendolo alle contemporanee azioni di un campo elettrico e di un campo magnetico. Anche in questo caso il rapporto e/m era dello stesso ordine di grandezza dei raggi catodici. La conclusione era che la corrente elettrica prodotto nell’effetto Edison è un flusso di elettroni. Contemporaneamente P. Lenard mostrò che la velocità massima che acquistano gli elettroni è indipendente dall’intensità della radiazione incidente. Essa dipende solo dalla frequenza della radiazione. L’aumento di intensità della radiazione incidente ha solo l’effetto di aumentare il numero degli elettroni che vengono emessi. Per aumentare l’energia di questi elettroni occorre aumentare la frequenza della radiazione incidente.

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