La nascita dei fascismi in Italia e Germania di Daniela Raimondo (raimondopatrucco@libero.it), Valter Balzola (), Rossana Denicolai ()

LA RESISTENZA ( e approfondimenti)

Con “Resistenza” si intende un fenomeno molto ampio e articolato nel suo complesso a livello geografico, che mette in campo la lotta politica, militare e ideologica, combattuta in tante aree contro il nazifascismo (in Francia, In Norvegia, nella Russia stessa dopo il cambiamento dell’alleanza tedesca).

Volendo esaminare il fenomeno italiano è utile sottolineare che essa non identifica solo la lotta importante e imprescindibile dei partigiani, ma anche tutta l’opposizione antifascista precedente l’8 settembre del 1943.

La Resistenza in qualche modo inizia con il delitto Matteotti, con l’Aventino, con i fuoriusciti che organizzano un progetto di opposizione dall’esterno in Francia o in Gran Bretagna.

La volontà di comunicazione si manifesta con l’azione di Carlo Rosselli, don Sturzo, Salvemini, Gobetti e di tanti che, con giornali, volantini, conferenze hanno tenuto vivo il senso e l’idea di libertà.

Essa, nell’ambito del territorio nazionale, è propria di numerose componenti della società civile con tanti piccoli e grandi episodi di ribellione. E’ sintomatico, a questo proposito, l’impegno della classe operaia che con gli scioperi del marzo e novembre/dicembre del 1943 dimostrano l’irreparabile caduta del consenso al fascismo.

E’ resistenza infatti anche quella di chi, direttamente o indirettamente, fornisce aiuto o appoggi, alloggio dotazioni ai combattenti pur senza rivendicare appartenenze politiche dichiarate.

Anche nelle fabbriche si generano i Gap, gruppi armati di azione patriottica, che agiscono con azioni di sabotaggio e con forme di guerriglia.

E’ stata di resistenza l’azione di tanti individui e famiglie non schierate e non connotate politicamente che hanno nascosto,sfamato, dato aiuto e collegamento all’azione diversificata, sinergica di tanti e tante forme di resistenza.

I partigiani iniziano ad assumere la fisionomia di un vero e proprio esercito, suddiviso a seconda della tendenza politica, in Brigate Garibaldi (comuniste), “Matteotti” (socialiste), “Giustizia e Libertà” (azioniste), “Brigate del popolo” (democristiane), che agiscono unitamente ad organizzazioni autonome e indipendenti.

La vera azione di costruzione del futuro governo democratico si basa sulla lotta che coinvolge, divide, separa famiglie, aree geografiche, in una parola tutta la società civile, nella quale non sembra esserci più posto per il disimpegno o l’indifferenza.

Del resto la cosiddetta svolta di Salerno, avvenuta con il ritorno in Italia di Palmiro Togliatti nel marzo del 1944, porta a unire quelle forze politiche, nuove o rinnovate, motivate a sconfiggere il Nazifascismo, ma soprattutto a costruire futuro governo democratico.

Quello della Resistenza è quindi un fenomeno articolato che certamente trova il suo momento di organizzazione nelle bande partigiane, ma che si amplia ed estende a tanti altri fenomeni di impegno e supporto.

I principali partiti antifascisti, PCI, PSI, Partito d’Azione, PL, Democrazia cristiana formano quasi ovunque i comitati di liberazione nazionale che prendono contatto con le bande di resistenti; il movimento partigiano assume così la fisionomia di un vero esercito.

Le formazioni partigiane vengono rifornite di armi e munizioni dagli Alleati che paracadutano rifornimenti nelle zone che essi controllano. Gli atti di sabotaggio e le azioni contro i Tedeschi costringono questi ultimi ad impegnare numerosi reparti contro i resistenti.

Essi ricorrono anche a feroci rappresaglie contro la popolazione civile che provocano centinaia e centinaia di vittime come accade a Roma (è necessario parlare delle Fosse Ardeatine), a Marzabotto, a Boves e a Sant’Anna di Stazzena.

Eppure la lotta continua senza soste: nell’estate del 1944, vaste zone del Piemonte, dell’Emilia e della Liguria sono in mano ai partigiani, che vi organizzano delle piccole repubbliche autonome (citare “I 23 giorni della città di Alba”), nelle quali i partigiani compiono anche interventi di carattere amministrativo e politico, in alcuni casi sottoponendo il proprio operato a verifica elettorale.

Il prezzo di sangue pagato dagli Italiani durante la Resistenza fu assai alto: 27.000 caduti in combattimento e 40.000 vittime di rappresaglie.

Italia [I1] [I2] [I3] [I4]

Germania [I5] [F1]

Francia [F2]

E PER CHI VUOLE APPROFONDIRE...

A)

RELAZIONE SULL'ECCIDIO DI VIA RASELLA E SULLA CONSEGUENTE ESECUZIONE SOMMARIA PER RAPPRESAGLIA DI UN NUMERO IMPRECISATO DI ITALIANI DETENUTI POLITICI, ED ALCUNI COMUNI, DA PARTE DEL COMANDO TEDESCO IN ROMA.

(Inchiesta del col. J. Pollock del Comando di Polizia alleata).

Da una relazione redatta l'11 maggio dal famigerato dott. Pietro Kock comandante delle squadre di torturatori create dal questore Caruso, ed esistente nel fascicolo intestato "Bombe lanciate contro una colonna di militari tedeschi". Rivelasi che un giovane, identificato per Calamandrei Franco di Pietro, nato a Firenze il 21 settembre 1917, studente del III anno di lettere, il giorno dell'attentato si trovava all'angolo di Via Rasella, e, all'apparire della colonna tedesca, fece un cenno convenzionale ad uno sconosciuto travestito da spazzino, conosciuto col nome di Paolo. Costui, con la sigaretta, avrebbe acceso la miccia per la esplosione delle bombe depositate su un carettino porta-immondizie.

Un altro individuo, contemporaneamente, da un posto sopraelevato, avreb- be buttato, al momento del passaggio della colonna, alcune bombe a mano ed avrebbe esploso alcuni colpi d'arma da fuoco, onde dare I'impressione che le bombe occorse per I'attentato alla colonna erano partite dall'alto Immediatamente vi fu reazione da parte dei soldati tedeschi, militi della g.n.r e da un gruppo di fascisti capitanati dal Questore Caruso, dal ten. Kock e da altri suoi fidi collaboratori. Tedeschi e fascisti procedettero ad arresti in massa, prelevando dai fabbricati da cui si riteneva fossero partiti i colpi d'arma da fuoco, vecchi donne e bambini. La stessa sera le SS richiesero i precedenti penali e politici di tutti coloro che erano stati arrestati da loro nel pomeriggio, e per ciascuno i funzionari e gli agenti addetti, dissero che precedenti non ce n'erano, sebbene alla richiesta dei precedenti presenziassero ufficiali delle SS tedesche.

La sera dello stesso 23 marzo il questore Caruso ebbe dal comando tedesco la richiesta di consegnare cento nominativi di persone arrestate; il Caruso ridusse la richiesta a cinquanta e, prima di aderire, volle recarsi da Buffarini Guidi per farsene autorizzare. La mattina del successivo 24 tenne nel suo gabinetto una breve e segreta riunione con i suoi più fidi e diretti collaboratori, comandanti delle varie squadre speciali, Kock, Tela, Bernasconi, Occhetto e qualche altro non conosciuto, con i quali preparò una nota di 50 detenuti da consegnare sollecitamente al comando tedesco per la fucilazione. Nell'elenco furono inclusi tutti i nomi degli esponenti e gregari del partito d'azione e di altri arrestati dalle squadre speciali e dai fascisti. L'elenco, sottoscritto dal Caruso, venne inviato all'Ufficio Matricola delle carceri dal dott. Alianello, il quale giunse sul posto con mezz'ora di ritardo provocando l'inconveniente che i tedeschi, recatisi a ritirare gli uomini loro assegnati dal Caruso, non avendo trovati quelli, prelevarono un gruppo di dieci pregiudicati comuni che dovevano essere, invece, rimessi in libertà. Pertanto dall'elenco firmato dal Caruso vennero sostituiti dieci nomi di ebrei con quelli arbitrariamente prelevati dai tedeschi.

Su tali circostanze non possono sorgere dubbi perché il questore Caruso sottoposto ad interrogatorio nelle locali carceri, ha sostanzialmente confermato quanto innanzi è detto. Il comando tedesco prelevò dal terzo braccio e da Via Tasso, complessivamente altre 270 persone fermate dalle SS che, ammanettate ed a mezzo di autocarri coperti, vennero condotte in zona che non fu fatta conoscere a nessuno e che solo in seguito si è saputo essere le Fosse Ardeatine. Come rilevasi da una relazione esistente nel fascicolo sopraindicato, tutti i fermati sarebbero stati trascinati ammanettati in una galleria, che militari tedeschi fecero poi saltare con mine. Negli atti non si rinviene l'elenco degli uccisi che pure si sarebbe dovuto rinvenire in un fascicolo riservato, evidentemente distrutto prima che i tedeschi si allontanassero da Roma.

Da un sopralluogo fatto eseguire da un funzionario alle tragiche grotte, è risultato quanto segue: Il desolato campo nel quale sorgono le tragiche grotte di Domitilla si trova a poche centinaia di metri dal luogo dove la Via Appia Antica si tripartisce per proseguire in tre diverse direzioni: l'una verso l'Appia Pignatelli; l'altra verso Via Ardeatina e la terza in prosecuzione dell'Appia Antica. Le tristi fosse che accolgono le spoglie di più che 320 martiri sorgono in una zona sottostante alla Via Ardeatina e sono costituite da tre cunicoli longitudinali e paralleli, lunghi circa 100 metri, coperti in un ricco terrapieno e congiunti alla loro estremità superiore da un braccio trasversale nel quale si può ora ficcare lo sguardo attraverso un grande foro circolare, al sommo del terreno, delle dimensioni di circa tre metri di diametro.

Ai tre cunicoli si accede attraverso due aperture delle dimensioni di circa 4 metri. Tale D'Annibale Nicola fu Antonio, nato a Ceccano (Frosinone) il 24-2-1899, abitante in Piazza Casal Maggiore n.3, int. 6, occupato quale porcaro nel terreno sito in Via Ardeatina prospiciente alle fosse Domitille poté assistere non visto all'eccidio da un campo che si trova a cavaliere delle fosse. Egli ha dichiarato che il 24 marzo 1944 verso le ore 14 vide giungere alla cava di Via Ardeatina situata a circa 70 metri dal luogo dove egli si trovava, due furgoni tedeschi, del tipo di quelli in uso per il trasporto delle carni macellate, completamente chiusi e con sportelli apribili dalla parte posteriore.

Detti automezzi dinanzi alla cava eseguirono una manovra circolare, in modo da far capitare all'imboccatura di essa la parte munita di sportelli, con una piccola marcia indietro I'auto veicolo penetrava addirittura per qualche metro nell'interno del cunicolo destro. La cava nel suo insieme permetteva agevolmente la manovra dei furgoni. Compiuta tale operazione, le persone che si trovavano nell'automezzo ne discendevano e venivano avviate nell'interno e propriamente in fondo alla cava, dove venivano mitragliate a mezzo di un fucile mitragliatore. È opportuno notare che la zona era stata all'uomo completamente isolata da soldati tedeschi che si erano situati ai vari blocchi. I colpi rimbombavano cupi nella solitudine circostante e non lasciavano dubbi circa la loro tragica natura, ma le grida giungevano soffocate. Lo spettacolo destava terrore e raccapriccio. Secondo il D'Annibale in ogni automezzo potevano stare alla rinfusa dai 70 agli 80 uomini e gli automezzi, scaricato il loro triste carico tornavano indietro a rifornirsene e così,a quanto ricorda il D Annibale, per tutta la giornata, e fino alle ore 14 del giorno successivo.

Secondo tale versione, pertanto, il numero delle vittime sarebbe ben superiore di 320 e si confermerebbe la voce popolare, che le fa ammontare a circa 700. I primi due automezzi trasportarono persone prelevate dalle prigioni tristemente famose di Via Tasso,mentre gli altri trasportarono detenuti prelevati dal carcere di Regina Coeli. Ai detenuti prelevati dalle prigioni di Via Tasso fu dato ad intendere che sarebbero stati inviati a lavoro nelle retrovie di Anzio; si ignora che cosa sia stato detto agli sventurati provenienti dalle carceri, ma i giornali pubblicarono che si disse loro che dovevano affrontare un lungo viaggio. I tedeschi, dopo un paio di esecuzioni facevano esplodere, sempre nell'interno della galleria delle mine il cui terriccio copriva,di volta in volta,le decine di cadaveri di patrioti ammucchiatevi alla rinfusa. I tre bracci della galleria verso il fondo furono così in breve sommersi sotto l'azione delle mine. Nel braccio di sinistra che si colloega nel mezzo delle due porte, i patrioti venivano colpiti a misura che entravano da una mitragliatrice posta all'angolo sinistro dell'ingresso. I cadaveri veniva poi trascinati a braccia dagli assassini in fondo al cunicolo ed ivi ammassati . Nessun'altra persona delle vicinanze è stata in grado di riferire alcunché intorno al criminoso episodío, che ricorda cosi da vicino le fosse di Kathyn.

Roma, lì 13 luglio 1944.

B)

La Resistenza a Roma: donne e quotidiano

di Lisa De Leonardis

"Le donne furono la resistenza dei resistenti" (Ferruccio Parri)

La presenza di donne nella sfera pubblica non nasce certo nel '43, tuttavia è in questo periodo che essa assume carattere di massa, anche a causa di una guerra che irrompe prepotentemente nel privato e nella quotidianità.

Il protagonismo femminile, che pure si è manifestato in modi molto diversi fra loro, è stato ricondotto dalla storiografia ufficiale ad una serie di stereotipi che immancabilmente tendono a collocarlo in categorie non politiche. In questa ottica le azioni delle donne durante la Resistenza divengono invisibili perché mai ritenute il risultato di una scelta consapevole. Piuttosto sono viste come espressioni, di volta in volta, o di un innato senso materno o di un altrettanto innato pacifismo, che solo a causa di situazioni contingenti si esprimono al di fuori dell'ambito privato.

Su tale invisibilità pesa anche l'impostazione storiografica che individua un'unica vera Resistenza, quella armata, e di conseguenza un solo soggetto legittimato alla fondazione dello stato repubblicano, il "maschio in armi". In questo modo, da un lato, solo coloro che compiono la scelta armata si distinguono dalla zona grigia, ovvero dalla parte di corpo sociale che non ha scelto, che attende passivamente la fine della guerra o nella migliore delle ipotesi il crollo del regime di occupazione. Dall'altro, la presenza delle donne nelle fila partigiane è relegata al ruolo debole del "contributo" e quindi non fondante: in ciò è ben leggibile l'ulteriore articolazione dello stereotipo che vuole le donne incompatibili con la guerra e l'azione politica. Una simile lettura della storia cancella tutte le forme di opposizione alla guerra e al fascismo che furono condotte senza armi e di cui le donne furono spesso protagoniste.

E' Resistenza civile quando si tenta di impedire la distruzione di cose e beni ritenuti essenziali per il dopo, o ci si sforza di contenere la violenza intercedendo presso i tedeschi, ammonendo i resistenti perché "non bisogna ridursi come loro"; quando si dà assistenza in varie forme a partigiani, militanti in clandestinità, popolazioni, o si agisce per isolare moralmente il nemico; quando si sciopera per la pace o si rallenta la produzione per ostacolare lo sfruttamento delle risorse nazionali da parte dell'occupante; quando ci si fa carico del destino di estranei e sconosciuti, sfamando, proteggendo, nascondendo qualcuna delle innumerevoli vite messe a rischio dalla guerra. Nella Resistenza civile si rintraccia una visibilità delle donne difficile da confondere con il contributo, poiché se si fosse trattato semplicemente di questo, non ci sarebbe stata una solidarietà sociale così diffusa e pronta a stringersi (proprio come il pugno verghiano dei Malavoglia, in cui ogni singolo dito era necessario alla compattezza del tutto) attorno ai bisogni dei tanti che dalla guerra erano stati messi in situazioni di estremo disagio, attorno ai disertori, ai partigiani, alle famiglie dei dispersi, dei militari al fronte, ma anche attorno alle formazioni armate, nelle quali molte donne sono state spesso artefici di azioni condotte in prima persona e con modalità originali.

Inoltre un concetto che faccia esplicito riferimento ad una Resistenza che non è necessariamente legata all'uso delle armi spinge a ridefinire e delimitare le dimensioni di quella "zona grigia" di attendismo, altrimenti dilatabili o restringibili al variare delle intenzioni di chi scrive la storia. Come accennavo all'inizio, la storiografia ufficiale ha generalmente ricondotto le azioni che vanno sotto la denominazione di Resistenza civile nel segno della "salvaguardia di un pezzo di realtà" - per usare un'espressione di Anna Bravo - portata avanti sulla spinta di un rassicurante senso materno, con l'effetto di privare di valenza politica tali azioni. A me sembra, invece, che molte donne abbiano messo in gioco tutto il loro mondo ed i loro mezzi che spesso, è vero, erano quelli conosciuti e utilizzati nell'ambito familiare, ma che lo abbiano fatto, più di quanto non si voglia far credere, adattandoli con ingegno alle situazioni e con la consapevolezza di scegliersi una parte.

C)

La Resistenza tedesca al nazionalsocialismo

di Oscar Sanguinetti

1.La conquista nazionalsocialista del potere

Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler (1889-1945), leader della NSDAP, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, riceve la carica di Cancelliere, ossia di capo del governo, dal presidente della Repubblica tedesca, il vecchio generale e protagonista della guerra 1914-1918 Paul von Hindenburg (1847-1934). L’ideologia nazionalsocialista, all’interno di una visione del mondo che combina ricostruzioni occultistiche e scientistiche dell’ancestralità germanica e motivi romantici come "sangue e suolo" e "comunità di popolo", propugna la creazione di nuove gerarchie sociali fondate sul dato razziale, destinate a scaturire da un’inevitabile lotta per la conquista dello "spazio vitale", dall’assoggettamento di popoli "inferiori" e dalla selezione biologica — attraverso eugenetica ed eutanasia — dello stesso popolo tedesco. Su questo quadro di fondo si disegna un progetto di forte modernizzazione, benché di una modernizzazione "diversa": il nazionalsocialismo aggredisce tanto le realtà costitutive dell’autentico retaggio storico tedesco — "prussianesimo" e cristianesimo —, quanto le ideologie moderne rivali, il bolscevismo, la socialdemocrazia, il liberalismo e lo stesso nazionalismo.

La conquista del potere assoluto da parte dei nazionalsocialisti è rapida e travolgente. Nel febbraio del 1933, dopo l’incendio del Reichstag, il parlamento, attribuito ai comunisti, von Hindenburg sospende in parte le libertà civili. Il 23 marzo Hitler ottiene i pieni poteri e il 2 maggio scioglie i sindacati dando vita al Deutsche Arbeitsfront, il "Fronte Tedesco del Lavoro". Il 22 giugno la socialdemocrazia viene messa fuori legge, mentre le altre forze politiche — il Centro cattolico e i nazionalisti: i comunisti erano già stati decapitati con l’arresto dei loro 81 deputati — si autosciolgono. Il 14 luglio la NSDAP diventa partito unico; nel 1934 viene istituito il tribunale politico speciale, il Volksgerichtshof, "Corte Popolare". Subito dopo, nella cosiddetta "notte dei lunghi coltelli", Hitler liquida l’opposizione interna con l’arresto e con l’eliminazione — fra il 30 giugno e il 2 luglio — del vertice delle formazioni paramilitari del partito, le SA — Sturm Abteilungen, "reparti d’assalto" —, guidate da Ernst Röhm (1887-1934). Nella "purga" vengono colpiti anche ambienti conservatori e trovano la morte l’altro leader e ideologo nazionalsocialista Gregor Strasser (1892-1934) e l’ex cancelliere, generale Kurt von Schleicher (1882-1934). Il 2 agosto, alla morte di von Hindenburg, Hitler cumula le cariche di capo dello Stato e di capo del governo: nasce così la figura del Führer, il "duce" dello Stato tedesco o Reich, il terzo della storia germanica. Lo stesso giorno, il ministro della Guerra, generale Werner von Blomberg (1878-1946), impone alle forze armate, la Reichswehr — la futura Wehrmacht —, il giuramento personale al titolare della nuova carica suprema.

Fin da subito il governo nazionalsocialista procede agli arresti di oppositori e di elementi "antisociali", che vanno a popolare carceri e neo-costituiti campi di lavoro o Lager. Quindi, realizza una politica di aggressione contro le comunità religiose: fra gli altri episodi, nel maggio del 1936, ben 287 religiosi vengono arrestati e processati per presunta omosessualità. Nel novembre del 1938 esplode — con la benevola tolleranza del governo — la violenza contro la comunità ebraica tedesca, già discriminata con le leggi di Norimberga del settembre del 1935, nella cosiddetta "notte dei cristalli". La guerra europea segna poi il salto di qualità della politica razziale, con frequenti deportazioni ed eccidi di massa nei paesi via via occupati, e con la creazione di nuovi, sempre più grandi, campi di lavoro forzato. Il conflitto dilata pure ulteriormente la sfera di potere del partito nazionalsocialista, cui corrispondono l’esautoramento politico dell’esercito e la militarizzazione delle formazioni di partito, con la creazione delle Waffen-SS — Schutzstaffeln, "staffette di difesa" — combattenti, che al termine della guerra contano ben 17 divisioni.

2. La resistenza

La violenta repressione del dissenso, la disarticolazione o l’annientamento dell’opposizione politica, l’abilità di Hitler nel conquistare e nel conservare il consenso popolare, la soluzione da lui data ai problemi ereditati dalla guerra mondiale persa — di così alta eco emotiva nel popolo —, il ricatto dell’equazione regime-patria — per di più "in pericolo", dall’inizio delle sconfitte militari del 1943-1945 — non favoriscono la formazione di un movimento organizzato anti-regime, con sufficiente consenso popolare. Nonostante il diffuso disgusto per il regime poliziesco e per la crescente violenza antiebraica, la resistenza tedesca si esprime "senza popolo", individualmente, oppure interessa solo piccoli ambienti e realtà tanto numerose quanto eterogenee sotto il profilo culturale e programmatico. I vari gruppi clandestini nascono e si muovono in maniera autonoma e scoordinata, con maggior vigore ed embrioni di organizzazione solo all’interno delle due realtà sociali che il regime ha neutralizzato ma non dissolto: le Chiese o comunità religiose e l’esercito.

Questa mancanza di base popolare — come pure il rifiuto degli Alleati, paralizzati dai sovietici, di aiutare, come nei paesi occupati, la resistenza tedesca o, almeno, di considerare i suoi esponenti come interlocutori — fa sì che le organizzazioni clandestine vengano facilmente scoperte dalla Gestapo — Geheime Staats Polizei, la "polizia segreta di Stato" — e dal SD — Sicherheitsdienst, "servizio di sicurezza", il controspionaggio. È il caso — per esempio — del circolo socialista Neu Beginnen, "Nuovo Inizio", scoperto nel 1935; del Sozialistische Front; del gruppo, animato da ex combattenti dei corpi franchi sia nazionalisti che di sinistra e guidato da Josef "Beppo" Römer (1892-1944) — ne vengono processati 150 membri fra il 1942 e il 1943 —; del circolo di Hanna Solf (1887-1954) — vedova dell’ex ambasciatore tedesco a Tokio —, scoperto il 12 gennaio 1944; del gruppo comunista di Anton Saefkow — arrestato il 4 luglio 1944 —; e, infine, con maggior spessore sia numerico che culturale, del Circolo di Kreisau — dal nome della tenuta slesiana dove si riuniva —, d’intonazione cristiano-sociale, promosso dal conte Helmuth James von Moltke (1907-1945) e dal gesuita Alfred Delp (1907-1945). Né riescono a creare difficoltà al regime le reti clandestine del partito comunista tedesco, dalle quali promanava la famosa Rote Kapelle, "Orchestra Rossa", creata nel 1936 dal tenente Harro Schulze-Boysen (1909-1942) e dall’economista Arvid Harnack (1902-1942) e scoperta e distrutta nel 1939. Esse cessano peraltro ogni attività dopo il patto tedesco-sovietico del 1939.

Le sporadiche manifestazioni di dissenso promosse dai nuclei di resistenti vengono sempre soffocate nel sangue, così da assumere il carattere di testimonianza morale — spinta, come nel caso del volantinaggio degli studenti del movimento evangelico della Rosa Bianca, guidati da Sophie (1921-1943) e Hans (1918-1943) Scholl, nel febbraio 1943 a Monaco, fino al martirio volontario — più che di attacco al governo.

Fra le comunità religiose, quella cattolica si mostrava meno sensibile ai richiami "patriottici" del governo di quella evangelica, da cui si era staccata una Chiesa "nazionale" del tutto soggetta al regime. La Santa Sede, retta in quegli anni prima da Papa Pio XI (1922-1939) — che nel marzo del 1937 pubblica l’enciclica Mit brennender Sorge sulla situazione della Chiesa nel Reich germanico —, e poi — dal 1939 — da Papa Pio XII (1939-1958) non fa mai mancare il sostegno alla Chiesa in Germania. La resistenza cattolica si manifesta soprattutto attraverso la testimonianza — talora spinta fino alla temerarietà — e attraverso il magistero di singoli presuli. Fra essi spiccano il vescovo — poi cardinale — di Münster, nella Renania-Vestfalia, Clemens August conte von Galen (1878-1946) —, la cui serie di pastorali contro il regime e le cui iniziative nei confronti di alti gerarchi come Hermann Göring (1893-1946) gli valgono agli occhi del mondo l’ammirato appellativo di "leone di Münster", e fra i partigiani del regime l’epiteto di "Galen Schwein", "Galen porco" —, e i cardinali Konrad von Preysing (1880-1950) e Michael von Faulhaber (1869-1952), rispettivamente vescovo di Eichstätt, in Baviera, e arcivescovo di Monaco. Fra i protestanti spicca la figura del pastore ed ex comandante sommergibilista durante il primo conflitto mondiale Martin Niemöller (1892-1984), arrestato nel 1937 e liberato dal Lager di Sachsenhausen, nell’Assia, solo nel 1945; con lui lo scrittore prussiano Ernst Wiechert (1887-1950) — viene confinato nel lager di Dachau, nei pressi di Monaco —, e il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer (1906 -1945), impiccato nel campo di Flössenburg, in Baviera.

I sopravvissuti circoli aristocratici e conservatori ruotano intorno a Carl Friedrich Goerdeler (1884-1945) — ex borgomastro di Lipsia, il più noto esponente della resistenza tedesca, designato come futuro capo del governo nei piani dei cospiratori del 20 luglio 1944 —, Hans Ulrich von Hassell (1881-1944) — già ambasciatore a Roma —, Johannes von Popitz (1884-1945) — già ministro delle Finanze della Prussia — ed Ewald von Kleis-Schmenzin (1890-1945), di ispirazione monarchica e cristiana. Questi ambienti esercitavano una forte — anche se non esclusiva — influenza sui militari, in particolare sul generale Ludwig Beck (1880-1944), capo di stato maggiore dell’esercito fino al 1938. Con l’eccezione dei massimi vertici, l’ambiente dei generali e dell’alta ufficialità — fra i quali si segnala l’ammiraglio Wilhelm Canaris (1887-1945), addirittura capo dello spionaggio militare, l’Abwehr — in maggioranza avversa sempre il nazionalsocialismo, sia per ragioni di principio — per esempio non riesce ad accettare gli eccidi perpetrati dalle milizie di partito —, sia per orgoglio di ceto, acuito dalle continue umiliazioni a esso inflitte dal despota. Ma, se nella resistenza sono numerosissimi gli ufficiali di ogni grado — per lo più aristocratici — che di volta in volta emergono nei ripetuti complotti per rovesciare il regime e negli attentati alla vita del Führer, non mancano neppure alti funzionari civili, come Hans Bernd Gisevius (1905-1974) e Hans von Dohnanyi (1902-1945), entrambi del controspionaggio.

La resistenza militare contro il regime trova la sua massima espressione in tre tentativi di colpo di Stato — prevedevano tutti la previa eliminazione fisica del Führer, che avrebbe liberato i militari dal giuramento di ubbidienza personale —, due dei quali — quello del settembre del 1938, poco prima degli accordi internazionali di Monaco, e quello del giugno-novembre del 1939, all’inizio della guerra — devono essere sospesi in extremis, mentre il terzo, quello del 20 luglio 1944, aperto dall’attentato contro il Führer compiuto dal colonnello conte Claus Schenck von Stauffenberg (1907-1944) al quartier generale di Rastenburg, nella Prussia Orientale, fallisce: merita di essere ricordato che, secondo The New York Times del 9 agosto 1944, questo attentato sarebbe maturato nell’"[...] atmosfera del tenebroso mondo del crimine", a differenza di quanto "ci si attenderebbe normalmente nel corpo degli ufficiali di uno stato civile".

La repressione di quest’ultima congiura segna la definitiva e sanguinosa liquidazione della resistenza tedesca, attuata attraverso processi-farsa nei quali si distingue il presidente del tribunale speciale nazionalsocialista Roland Freisler (1895-1945), seguiti da torture, impiccagioni, fucilazioni e deportazioni, che si protraggono con precisione e con implacabile, barbarico spirito di vendetta — che non risparmierà i familiari e i congiunti — fino alla soglia dell’apocalisse berlinese nell’aprile del 1945.

Per approfondire: vedi Hans Rothfels, L’opposizione tedesca al nazismo, trad. it., Cappelli, Bologna 1963; Joachim [C.] Fest, Obiettivo Hitler, trad. it., Garzanti, Milano 1996, nonché, dello stesso, Hitler, trad. it., Rizzoli, Milano 1974; in sintesi Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo. La resistenza in Germania, trad. it., il Mulino, Bologna 1994. Vedi pure Klaus Hildebrand, Il Terzo Reich, trad. it., Laterza, Bari 1983; e Ian Kershaw, Che cos’è il nazismo? Problemi interpretativi e prospettive di ricerca, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino 1995; nonché Ulrich von Hassell, Diario segreto 1938-1944. L’opposizione tedesca a Hitler, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1996. Sui rapporti fra il regime e le Chiese vedi Mario Bendiscioli, Germania religiosa nel Terzo Reich. Conflitti religiosi e culturali nella Germania nazista. Dalla testimonianza (1933-1945) alla storiografia (1946-1976), 2a ed. riveduta e aumentata, Morcelliana, Brescia 1977; su un aspetto della resistenza cattolica Clemens August Graf von Galen, Un vescovo indesiderabile. Le grandi prediche di sfida al nazismo, trad. it., Edizioni Messaggero, Padova 1985.

D)

Strage di Marzabotto: la testimonianza del nazista Albert Meier

Volontario SS dal 1937, nella Seconda guerra mondiale ero nella Sedicesima divisione "H.Himmler", mandata in quell'Italia che aveva tradito: capo plotone nella Seconda compagnia, sotto il comando del maggiore Reder... Intervistato dalla tv tedesca ARD, parla Albert Meier, nome venuto alla ribalta nelle indagini sulla strage di Marzabotto.

Lei ricorda l'azione contro i "banditi" a Marzabotto?

«Come no!».

Si ricorda che furono uccisi civili, donne?

«La gente, no. Abbiamo solo punito quelli che avevano commesso qualcosa. Furono presi e puniti».

Che tipo di gente?

«Gente così, civili... Ci sparavano addosso, dalle finestre, dai tetti. Una vera minaccia per noi. Potevamo uscire solo in coppia. Uno doveva proteggere l'altro».

E la sua compagnia, come si è comportata?

«Facendo operazioni contro i partigiani, anche di notte. Quelli che abbiamo beccato, li abbiamo mandati nelle retrovie».

Lei sa se ci sono state fucilazioni di civili?

«Non l'ho visto io personalmente, ma l'ho sentito dire. Quando alcuni di loro hanno ucciso qualcuno di noi, allora siamo andati a rompergli il culo... Li abbiamo fucilati. Abbiamo punito quelli che erano dei "bacilli" di sinistra. Non potevamo nemmeno uscire per la strada, tanto quei villaggi erano insicuri».

Avete punito i villaggi?

«Sì, con azioni antipartigiane. Io ho preso addirittura un'onorificenza. Dopo sette azioni contro i partigiani, ti davano una medaglia... L'ho avuta anch'io».

Come giudica le azioni di Marzabotto?

«Loro stavano dietro le finestre, le aprivano e "pum pum": uno dei nostri cadeva a terra. Io non ero un borghese, ero al fronte, in azione militare...».

Lei era al fronte, nella truppa combattente, anche a Marzabotto?

«Sì, certo. Forse i partigiani erano combattenti regolari? Quelli erano teste di topo. A quelli vorrei ancora oggi...Lei va lì con due o tre camerati, e poi "pum pum", ti centrano. Cosa farebbe lei? Direbbe grazie? O andrebbe a rompergli il culo, a chi le ha sparato?».

(L'Espresso, 18.04.2002)

E)

L’attentato in via Rasella – cronaca

23 marzo 1944 - Alle 15,30 Carlo Borsani, cieco di guerra, medaglia d'oro, celebra, nel salone di un palazzo in via Veneto, la nascita del fascismo, avvenuta 25 anni prima a Milano, in piazza San Sepolcro. E' una giornata senza nuvole, con il sole splendente. In mattinata i gerarchi e le autorità germaniche avevano assistito alla messa nella chiesa di Santa Maria della Pietà e deposto corone alle lapidi dei caduti fascisti in Campidoglio e al Verano. Borsani ha comniciato da poco a parlare quando, alle 15.52, si interrompe a causa del forte boato che rompe l'aria. Una forte carica di tritolo è esplosa a poca distanza, in via Rasella, davanti al palazzo Tittoni, mentre vi transitava a piedi una compagnia del I battaglione del Reggimento Polizei SS Bozen, composta da 156 uomini tra ufficiali, sottufficiali e truppa, in assetto di guerra, con mitraglatrici montate su carrelli in testa e in coda alla colonna. Subito dopo, due squadre dei GAP Centrali, una di sette uomini l'altra di sei, al comando di Carlo Salinari (Spartaco) e Franco Calamandrei (Cola), lanciano a mano bombe da mortaio leggero Brixia, modificate per esplodere per accensione della miccia, e sparano con armi leggere. A far brillare la mina collocata in un carrettino metallico da spazzino era stato lo studente in medicina Rosario Bentivegna, con la copertura di un altra giovane studentessa, Carla Capponi.

Secondo la testimonianza di Bentivegna, i gappisti erano disposti per l'attacco in questo modo: lui vicino al carretto, Carla Capponi, con un imperbeabile sul braccio, da mettergli addosso per coprirgli la divisa da spazzino , la pistola alla cintura sotto il golf, in cima alla via con alle spalle palazzo Barberini;, Raul Falcioni, Fernando Vitagliano, Pasquale Balsamo, Francesco Curreli e Guglielmo Blasi, con Salinari nei pressi del Traforo; poco distante Silvio Serra; all' angolo di via del Boccaccio, Franco Calamandrei. Altri gappisti erano sistemati per coprirli durante lo sganciamento.

Le modalità dell'attacco: Calamandrei si era tolto il cappello, segno convenuto per avvisare Bentivegna che i tedeschi si stavano approssimando e doveva quindi accendere la miccia per poi allontanarsi rapidamente. Avvenuta l' esplosione, gli altri gappisti raggiunsero Calamandrei di corsa per sviluppare l'assalto a bombe a mano e colpi di pistola. L'azione si concluse con 32 SS uccise e 110 ferite (una sarebbe morta in ospedale il giorno dopo). I gappisti non ebbero perdite nonostante la immediata reazione dei tedeschi. Morirono invece un ragazzo e due civili. Altri persero la vita o rimasero feriti nella violenta sparatoria che si protrasse con l' arrivo di reparti tedeschi e fascisti, da questi rivolta soprattutto a colpire le finestre degli edifici più vicini, dai quali ritenevano fossero stati lanciati gli ordigni esplosivi.

L'attacco in via Rasella era stato deciso dal comando dei GAP Centrali in sostituzione dell' assalto, programmato per quel giorno, al corpo di guardia di via Tasso per liberare i prigionieri della Gestapo. Dopo un sopralluogo Fiorentini, Salinari e Calamandrei avevano ritenuto irrealizzabile quell' operazioe dato il sistema difensivo approntato dai tedeschi e avevano predisposto invece l'aggressione alla colonna tedesca che ogni giorno percorreva via Rasella ultimate le esercitazioni alla controguerriglia.

Il reggimento Bozen, come tutte le SS composto da volontari vincolati dal giuramento a Hitler, si stava infatti addestrando alla lotta contro i partigiani. Il battaglione di stanza Roma forniva anche elementi alla Gestapo in via Tasso, e avrebbe dovuto assolvere all' incarico di proteggere il personale militare e civile tedesco e fascista durante l' abbandono della capitale all' arrivo degli alleati, e, inoltre, fare da scorta ai prigionieri che da via Tasso da Regina Coeli sarebbero stati trasferiti al nord.

Al reggimento Bozen saranno addebitate le stragi di civili commesse in seguito, in Istria, nel Bellunese, a Bois e Falcade, 87 azioni di rappresaglia documentate negli archivi tedeschi di Coblenza, ricostruite da storici ricercatori altoatesini nel 1994.

L'azione di via Rasella venne riconosciuta come atto legittimo di guerra dal governo e dal parlamento dell' Italia democratica, nel 1981, dalla magistratura, nei vari gradi sino alla Cassazione (19 luglio 1953). Alcuni partecipanti vennero decorati al valor militare dal Presidente della Repubblica Einaudi, Capo del Governo De Gasperi

Biografia di Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante che si oppose al nazismo ed articoli su di lui [I1]

Sulla strage di Marzabotto [I2]

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