La novella nella letteratura italiana di Beatrice Fiora

IL NOVECENTO: PIRANDELLO

Nel Novecento il racconto breve, come il romanzo, ha una diffusione enorme anche grazie al contributo di riviste e giornali letterari. Come già rilevato, una produzione complessa ed eterogenea affianca la tradizione novellistica: si sviluppano il racconto giallo, poliziesco, comico, di fantascienza, creazioni dell'Ottocento ma sfruttate ora come prodotti "industriali", di vita quasi sempre effimera. Salvo rare eccezioni il termine racconto soppianta quello di novella. I grandi autori, noti per i grandi romanzi, si cimentano con questo genere letterario, che diviene, di volta in volta, ricerca psicologica o metaforica (Pirandello, Svevo, Joyce e Kafka), rappresentazione sospesa tra mito e realtà, avventura linguistica e surreale (Bontempelli, Gadda, Landolfi), documento e trasfigurazione di realtà umana e sociale (Pavese, Fenoglio, Moravia). Ma sembra ormai difficile rintracciare precisi elementi del genere rispetto alle contemporanee esperienze nel campo del romanzo breve, della prosa d'arte o di memoria. Fra i molti scrittori citati, teniamo particolarmente a sottolineare ed analizzare la grande opera di Luigi Pirandello [I1] [I2] [E] [ES] [F] , che esordisce nella narrativa prima di dedicarsi al teatro, con il quale raggiunge statura internazionale. Alla narrativa si dedica per decenni, con i romanzi e con le novelle (spesso poi rielaborate sotto forma di testi teatrali) affidate dapprima a riviste e giornali e poi raccolte nei quindici volumi di Novelle per un anno [I] [I2] , titolo dettato dal proposito di scriverne 365; in realtà ne pubblica 225. Partito dai modelli del Verismo, Pirandello ne supera le secche, poichè in realtà, oltre all'ambientazione spesso siciliana e durissima dei racconti, egli non si ferma a fotografare il reale, ma lo scompone, ponendo l'attenzione sulla condizione esistenziale dell'uomo, avventurandosi in ricerche più inquiete e anatomizzando temi e personaggi che esprimono il disagio dell'uomo moderno. E' il personaggio stesso, che ragionando continuamente con il lettore, confessa la presa di coscienza del disequilibrio della realtà: da una parte c'è la vita, e dall'altra, inconciliabile, la forma, ovvero la necessità di calarsi in ruoli necessari al vivere sociale. Così ciascun uomo realizza per sé una maschera che lo rende illusoriamente riconoscibile agli altri, ma lo porta in effetti a crisi di identità, a sentirsi estraneo a se stesso, a "vedersi vivere", in una condizione di straniamento che svela l'ambiguità dell'esistere e che è alla base di tanti drammi e novelle dell'autore. Inoltre le novelle offrono a Pirandello uno straordinario laboratorio di sperimentazione linguistica. La lingua parlata dai diversi personaggi è una novità assoluta nel panorama della letteratura dello stesso periodo, ed è il risultato di un lungo processo di svecchiamento della tradizione classica.

   7/9   

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