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		  Competenza pedagogica
		   
		  
		  
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7.1. Credibilità dell’educatore 
La competenza pedagogica è legata alla capacità 
di analizzare i diversi aspetti di una situazione educativa in cui agire in 
termini di credibilità attraverso l’affiancamento, il sostegno e la relazione.
 
Guardini esprime questo concetto in Persona 
e libertà affermando che la più potente “forza di educazione” consiste nel 
fatto che l’educatore per primo si protenda verso l’altro
(I47), in un reciproco percorso di crescita. Individua tre radici della 
credibilità dell’insegnante/educatore.  
Identifica la prima nella competenza nella 
propria materia e la capacità di insegnarla, ritenendo che sia basilare per 
generare il rispetto degli studenti. 
La seconda radice si lega alla serietà ed alla 
passione con cui il docente svolge la propria professione e fa nascere ed 
aumentare la stima degli studenti nei confronti dell’insegnante.  
La terza radice è quella affettiva  che genera 
l’identificazione e il paragone personale. 
  
7.2. Cura – relazione – servizio 
Possiamo e dobbiamo  considerare il soggetto 
dell’educazione sempre un singolo, sempre un’eccezione che non può diventare 
regola, nel  riconoscimento della specificità della persona umana. 
La particolarità della competenza pedagogica è 
la progettualità educativa, elaborazione di un percorso intenzionale in cui il 
soggetto in-formazione prende forma 
(I48). 
Gli educatori – genitori, insegnanti, 
formatori…- devono essere  agenti di trasformazione e cambiamento attraverso 
un’azione responsabile.  
La cura educativa è intesa come atteggiamento 
di premura, attesa, gratuità; cura è farsi carico dell’Altro ed accompagnarlo 
per un tratto di strada aiutandolo a sperimentare il suo essere uomo. 
L’educatore deve essere consapevole che le capacità e le risorse del soggetto 
in-formazione non si sviluppano se non esiste un Altro che si prende cura di 
lui. L’evento educativo è nello scambio reciproco, è “cura” e “relazione”. 
Il prendersi cura si esplicita nella relazione 
e nel dialogo, in un’asimmetria relazionale e comunicativa di “servizio”, cioè 
funzionale all’obiettivo pedagogico, non gerarchica. 
Nell’incontro educativo esiste infatti 
un’asimmetria, un’autorità intesa come servizio, una superiorità funzionale che 
genera responsabilità, per poter essere guida in rapporto ai bisogni educativi 
del soggetto.  
  
7.3. Prendere forma e dare forma 
 
Dare forma sottolinea la necessità 
dell’intervento di qualcuno, prendere forma la capacità del soggetto di 
attivarsi. Il divenire della persona si costruisce in questa dialettica. 
L’educazione vuole raggiungere lo sviluppo globale ed integrale della persona, 
l’incremento delle potenzialità. 
Per la Milani formare è creare le condizioni 
perché l’individuo possa prendere forma e darsi forma (come responsabilità 
personale), passaggio dalla potenza all’atto.  
Prendere forma è riconoscere ed affermar 
l’unicità e irripetibilità del soggetto umano. L’uomo è l’originalità del 
proprio essere, prendere forma è la propria forma, nell’integralità della 
persona - corpo, psiche, relazione
(I49)
(I50).  
Prendere forma è capacità di rielaborare, 
costruire significati, ricerca di personale progettualità, responsabilità della 
propria crescita che consegna il soggetto all’autoformazione, fine ultimo. 
  
7.4. Socrate – maieutica 
Attraverso l’ascolto, la comprensione, la 
comunicazione l’educatore deve riuscire ad essere maieuta
(I22)
(I23)
(I24).      La maieutica è l’arte dell’ostetricia, arte ostetrica spirituale della quale 
Socrate si serve per far venire alla luce il vero. Il metodo socratico si fonda 
sulla disponibilità ad aiutare congiuntamente gli altri e se stessi a trovare la 
verità, senza presumere di fornirla già compiuta. Socrate non si ritiene 
sapiente, assicura che la sua grande sapienza consiste nel saper professare la 
sua ignoranza. Non può essere, di conseguenza, dispensatore di verità, ma è 
colui che può aiutare gli altri a farla emergere dentro di loro. Come la 
levatrice aiuta a far venire alla luce un figlio non suo, Socrate aiuta gli 
uomini a trovare la verità, che egli stesso non ha generato e lo fa attraverso 
l’ironia, smontando false certezze e la presunzione di possedere un sapere 
compiuto e definito. All’esercizio  e alla conoscenza di questa sapienza Socrate 
connette la possibilità di una vita felice.
 
Condanna il sapere pragmatico, che non si pone 
come obiettivo il miglioramento del singolo ma lo spinge ad uniformarsi alla 
mentalità diffusa. L’esercizio della maieutica rimanda al riconoscimento di una 
verità che non può essere insegnata perché nessuno, realmente, può vantarsi di 
possederla, ma che ciascuno ha la capacità di generare.  
L’uomo da solo può non essere consapevole delle 
risorse di cui è portatore, per questo è necessario  che qualcuno  lo aiuti a 
scovarle.                                  Questa metodologia educativa richiede l’avvio di una relazione basata sul 
rispetto dell’altro ma principalmente di “lavorare insieme” , lasciando spazio 
alla libertà dell’educando.
 
Per il discente vedere nell’adulto il maieuta, 
deve equivalere a vederlo come una persona favorevolmente disposta  nei propri 
confronti, che ha la possibilità di aiutarlo e di cui si può  fidare. 
L’educatore deve quindi favorire il dialogo, disporsi all’ascolto, comprendere, 
camminare accanto e, nello stesso tempo, deve concretizzare il suo essere 
insegnante, animatore, amico, supervisore, accompagnatore, nella costruzione 
bidirezionale di una relazione dialogica e di confronto. 
La maieutica fa parte dei presupposti della 
relazione educativa, in quanto l’educatore deve agire nei termini di 
“facilitatore del potenziale umano”. Essere maieuta vuol soprattutto dire 
rispettare e valorizzare le potenzialità umane dell’educando, in un percorso 
educativo che attui modalità di guida e strategie di accompagnamento, perché 
possa realizzare infine autonomia e responsabilizzazione. 
Socrate nel dialogo con Alcibiade pone 
l’esempio dell’occhio e dello specchio: per vedersi occorre specchiarsi in 
qualcosa di simile a sé, in un altro uomo. L’uomo trova la sapienza, non la 
pone. L’uomo per giungere alla verità deve prima essere consapevole di sé, avere 
coscienza del proprio essere umano e questo è possibile solo mediante il 
dialogo, vale a dire il confronto con un altro essere umano, in cui è possibile, 
specchiandosi, conoscersi.  
  
7.5. Stern – è il bambino ideale che forgia 
quello reale 
Ogni nuovo nato viene al mondo carico delle 
aspettative dei genitori e delle famiglie che gravitano attorno. 
Stern riflette su come durante i mesi di 
gravidanza la madre abbia convissuto con un bambino immaginario, al momento 
successivo al parto si dovrà incontrare con il bambino reale, sul quale 
graveranno le sue aspettative, avverrà quindi un rimescolamento di ruoli e di 
funzioni famigliari. Si considerano predizioni che si avvereranno in quanto la 
figura del bambino immaginario, ideale
(I51), plasmerà quello reale secondo le aspettative e le fantasie dei 
genitori. In modo particolare la madre, nei riguardi del figlio nutre delle 
aspettative che possono essere di stimolo alla crescita ma possono anche 
intralciarne lo sviluppo. 
Il compito principale dei genitori è aiutare il 
piccolo a raggiungere a pieno le proprie potenzialità anche se non sono le 
stesse che si aspettavano. Si può riflettere su quanto si proietti ingiustamente 
sui propri figli.  
Tutti i bambini immaginari sono normali 
costruzioni della mente ma non devono potersi espandere  troppo per non portare 
il bambino reale verso ruoli non adatti  a lui o troppo pesanti, lontani dal suo 
esclusivo modo di essere. Il bambino che durante la gravidanza si è  immaginato 
rischia di snaturare così l’originale personalità del fanciullo reale. 
 
		  
		  
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