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Romani si
consideravano ed erano considerati uno dei popoli più religiosi della terra.
Comprendere questa affermazione è davvero difficile se si guarda alla religione
romana con occhi ‘cristianocentrici’, vale a dire con gli occhi di chi da
circa duemila anni è abituato a misurare le religiones
altrui con il metro della propria. Fondamentale è comprendere il rapporto che
questa religio presuppone tra
l’uomo e la divinità, molto diverso dal devozionalismo e dalla ‘grazia’
concessa dall’alto e molto vicina ad un rapporto di tipo do
ut des, con sfumature, talvolta, di tipo ‘giuridico’. Per accostarsi
agli aspetti fondamentali della religione romana, si rivela senz’altro più
utile fare riferimento alle religioni indoeuropee, come già gli studiosi fanno
da molti anni, e alle religioni orientali. (I1)
(I2) (I3)
(EN1)
(EN2) (EN3)
(FR1) (FR2)
(FR3) (FR4)
(ESP1)
(ESP2) (ESP3)
Un altro aspetto
fondamentale per comprendere la religione romana è il suo legame indissolubile
con la sfera civile, familiare e socio-politica. Essa si fonda su una serie di
rituali volti a garantire il patto tra la società umana e la sfera divina, che
condiziona in ogni momento la vita degli uomini. Il culto verso gli Dei è un
dovere morale e civico ad un tempo: solamente la pietas, vale a dire il
rispetto per il sacro e l'adempimento dei riti, può garantire il patto,
la pax deorum per il bene della città, della famiglia e
dell'individuo.
Nel
sentimento religioso romano le forze divine sono presenti in tutto l'universo,
nei fenomeni atmosferici e in ogni atto della vita individuale, familiare,
sociale e politica. Un numero molteplice di divinità presiede a ogni fase della
vita umana (nascita, infanzia, adolescenza, matrimonio, morte); il proprio Genio
protegge ogni individuo; Lari e Penati custodiscono l'ambito domestico;
particolari Dei vegliano sulla città; Lemuri e Mani personificano a diversi
livelli le anime dei morti (Esp1)(Esp2).
La volontà
di un Dio è detta numen (numina
in quanto volontà collettiva) e la sua presenza continua in ogni momento
della vita è l’elemento fondamentale dell’esperienza religiosa romana;
questa precede il sociale e lo
fonda, è interamente proiettata verso la dimensione pubblica e abbraccia tutte
le sfere dell’azione umana, dalla coltivazione delle messi, alla cottura del
farro, alla guerra, al rapporto col mondo invisibile dei morti.
Secondo
questo principio, l’universo appare come frazionato in una moltitudine di
forze numinose, ciascuna delle quali con una propria sfera d’azione
circoscritta; in ogni momento della vita è dunque necessario rivolgersi a
queste divinità in base a liste di Dei (indigitamenta)
(I1)
invocati in base alle loro funzioni. Per il Romano era necessario sapere se
l'azione che si stava intraprendendo avrebbe incontrato una forza divina
favorevole o contraria: quindi gli auguri osservavano, seguendo date condizioni,
certi fenomeni o segni premonitori (auspicia).
Il rito è
al centro della religione romana. Il ritus
è l’esatto e corretto operare secondo un modello tradizionale rigorosamente
fissato (le parole e il loro ordine, ad esempio, non dovevano mai essere
modificati). Nelle offerte sacrificali importava l'osservanza rigorosa delle
prescrizioni liturgiche. Il rito è quindi l’azione efficace. (I1)
Né va
dimenticato che la religione romana arcaica fu aniconica, con un antropomorfismo
poco sviluppato. Presto tuttavia i Romani subirono l'influenza delle divinità
greche tramite gli etruschi
e la Magna
Grecia, fino a importare, dopo la conquista della Grecia, l'intero Olimpo e
la rappresentazione antropomorfica che associava sincretisticamente ad antiche
divinità latine gli Dei ellenici. Così Zeus fu associato a Giove, Ares a
Marte, Era a Giunone e così via.
In
definitiva, non è corretto equiparare la religione romana a una ‘fede’ nel
senso cristiano del termine: i Romani traevano invece i
segni della benevolenza divina dalla propria storia. Essi, figli di
Marte, si vedevano militarmente padroni del mondo allora conosciuto, e questo
dato di fatto era un segno più che tangibile di tale benevolenza divina.