Traumatologia e Riabilitazione. L'instabilità anteriore di spalla di Marco Bonfante (marfante@tiscali.it)

  Mobilità articolare


Mobilità articolare

Definizione
Si intende con questo termine, in ambito kinesioterapico, il recupero normale o possibile della mobilità articolare di una articolazione limitata nella sua escursione per motivi di origine traumatica, algica o postoperatoria.
Il trattamento viene effettuato mobilizzando con cautela l’articolazione fino al limite del movimento consentito in dato momento, senza mai superare la soglia del dolore, ma avvicinandosi fino al limite della sensazione di fastidio, per poi mantenere la posizione per un tempo che può variare dai 15 secondi al minuto a seconda della sofferenza e dal grado di sopportazione del paziente, per un tempo totale di lavoro che varia dai 10 ai 20 minuti per esercizio.

Una tecnica efficace, per il miglioramento della mobilità articolare, consiste, se il paziente è in grado, di far precedere la fase di allungamento da una fase di contrazione submassimale per un tempo di circa 10 secondi e far seguire la fase di allungamento, entro 2 secondi dalla contrazione, che verrà mantenuta per un tempo di circa 30 secondi per un lavoro complessivo della durata di 10-20 min per asse di lavoro. [I3] [I5] [I6] [D1] [E1] [F1]
Va sempre ricordato che forzare la mobilizzazione e/o esagerare nella durata del lavoro può dare effetti opposti a quelli desiderati a causa di una reazione di difesa dei tessuti eccessivamente stimolati.


Fase I: flesso-estensione del braccio

La mobilizzazione [I3] [I5] [D1] [F1] inizia con i movimenti meno rischiosi per il tipo di patologia e il tipo di articolazione: in questo caso la flesso-estensione dell’omero.

Mettendo il paziente in posizione decubito supina, si inizia la mobilizzazione in flessione del braccio sollevandolo in alto e verso il capo, assistito dal terapista in modo passivo, cioè senza impegno muscolare da parte del paziente.
Allo stesso modo, mantenendo il paziente supino, ma sul bordo del lettino, si provvederà a una estensione del braccio, retroponendolo verso il basso in direzione del pavimento.
Un particolare importante è il mantenimento del palmo della mano ruotato verso l’interno per consentire una mobilizzazione neutra, senza intrarotazione o extrarotazione dell’omero, fase di mobilizzazione che va ricercata per ultimo.
Successivamente, con il migliorare della mobilità e dell’incremento di forza questi esercizi potranno essere effettuati con l’ausilio di una bacchetta o bastone leggero, anche in modo attivo da parte del paziente, sia in posizione decubito supina, seduta che decubito prona. Tenendo la bacchetta con entrambe le mani a una distanza pari o leggermente superiore l’ampiezza delle spalle, il paziente eseguirà dei movimenti di flesso-estensione nelle tre posizioni sopra descritte. La posologia del lavoro è in progressione da 3 a 5 serie da 10 ripetizioni ciascuna.

Altro modo per la ricerca di una maggior mobilità in flessione del braccio, in modo attivo, si ottiene ponendo il paziente di fronte a un muro e invitandolo a camminare letteralmente con le dita su di esso verso l’alto e a ritroso, partendo con il gomito flesso, per arrivare nella posizione più alta possibilmente a gomito disteso. La posologia del lavoro è in progressione da 3 a 5 serie da 10 ripetizioni ciascuna.
Sarà compito del terapista, in tutti i metodi elencati, controllare correggere eventuali difetti di compensazione della ridotta mobilità o della non del tutto adeguata capacità di forza del paziente. Infatti, in questa fase il paziente tende a sollevare e anteporre il moncone della spalla nel tentativo di raggiungere una fittizia maggior mobilità, fattore da eliminare assolutamente in quanto darà adito allo sviluppo di schemi motori errati che nel tempo porteranno allo svilupparsi di altre patologie degenerative della cuffia dei rotatori della spalla conosciute in tempi passati come periartriti di spalla, ora classificate come “sindromi da impingement”.


Fase II: abduzione e adduzione del braccio

Raggiunto un discreto grado di flesso-estensione dell’omero, si passa con gli stessi criteri all’abduzione del braccio. [I5] [I6] [D1] [F1] [E3]

Posto il paziente in posizione decubito supina, il terapista provvederà a aprire verso l’esterno il braccio, tenendo sempre la mano rivolta verso la coscia e controllando il corretto posizionamento del moncone della spalla, ovvero della scapola, per non cercare un’inutile e falsa mobilizzazione dell’articolazione scapolo-toracica, quando il principale intervento deve essere a carico dell’articolazione scapolo-omerale.
La prima tappa della mobilizzazione attiva in questo caso sarà sempre tramite l’uso di una bacchetta, impugnata con entrambe le mani, decubito supini su un lettino, con lo scopo di disegnare degli archi di cerchio, ovvero delle frazioni di circonduzioni del braccio verso l’esterno che , con il migliorare della situazione, diverranno sempre più ampli e completi da coinvolgere non solo il movimento di abduzione e adduzione, ma, completando gli archi di circonferenza, coinvolgeranno anche la flesso-estensione del braccio. La posologia del lavoro è in progressione da 3 a 5 serie da 10 ripetizioni ciascuna.

Per poter iniziare un lavoro contro gravità, quindi entrando simultaneamente in un ambito di rinforzo muscolare, si porrà il paziente di lato a una parete per invitarlo a camminare con le dita verso l’alto, partendo anche qui con il gomito flesso, allo scolpo di abdurre attivamente il braccio. La posologia del lavoro è in progressione da 3 a 5 serie da 10 ripetizioni ciascuna. I criteri di attenzione e correzione del terapista sono sempre gli stessi.


Fase III: rotazione interna ed esterna del braccio

Nell’evolversi del trattamento riabilitativo si passa all’ultima fase [I3] [I5] [I6] [D1] [E1] [F1] [E3] riguardante la mobilizzazione scapolo-omerale, ossia l’intrarotazione per prima e successivamente una cauta extrarotazione.
L’intrarotazione è praticamente la continuazione e il completamento del lavoro di adduzione.
Inizialmente si porterà il paziente ad anteporre il braccio al torace attraverso gli esercizi di circonduzione del braccio con la bacchetta, di abduzione orizzontale e adduzione orizzontale con la bacchetta in posizione decubito supina o a braccio libero.
Successivamente si passerà alla retroposizione del braccio al torace in posizione seduta con l’aiuto del terapista e poi in maniera autonoma, sviluppando così anche un minimo di forza nei muscoli rotatori interni della cuffia.

Solo in un secondo momento, quando si sarà raggiunta una discreta mobilità generale e un discreto tono muscolare un po’ in tutti i distretti ad eccezione degli extrarotatori, si provvederà a realizzare una controllata mobilizzazione in rotazione esterna, perché questa, associata alla flessione e all’abduzione in posizione estreme rendono più probabile il ripetersi dell’evento traumatico.
La rotazione esterna dell’omero verrà ricercata in posizione decubito supina con il braccio completamente addotto al fianco, per mezzo del terapista che con attenzione ruoterà l’avambraccio, con il gomito flesso a 90°, verso l’esterno, senza mai esagerare in questo asse di lavoro in quanto normalmente già troppo mobile per sua natura in soggetti con questo tipo di patologia.

In seguito si potrà permettere questo tipo di lavoro anche in altri angoli di abduzione e flessione dell’omero.
Un buon lavoro di mobilizzazione generale può essere svolto ponendo il paziente in posizione frontale e/o laterale in stazione eretta rispetto a una ruota vincolata ad un pignone libero, sulla cui circonferenza sarà stata approntata una qualche specie di maniglia. Il paziente con questo attrezzo potrà realizzare delle circonduzioni controllate.
Sarebbe ottima cosa se l’impugnatura potesse scorrere ed essere di volta in volta fissata lungo il raggio della ruota per permettere una regolare progressione dell’ampiezza della circonferenza disegnata.


Importante.
La mobilizzazione va effettuata su soggetti che, in seguito ad un evento traumatico grave o in fase postoperatoria di riduzione di una lussazione anteriore di spalla, si trovano in una situazione di ridotta o limitatissima mobilità articolare.
Nel caso di sublussazioni recidivanti o lussazioni ridotte ma non trattate chirurgicamente o immobilizzate con trattamento ortodesico per tempi lunghi, dalle due alle quattro settimane, non necessitano assolutamente di mobilizzazione articolare in quanto articolazioni già eccessivamente lasse e instabili, ma bensì necessitano di un trattamento di rinforzo muscolare, propriocettivo e cinetico-posturale per permetterne una discreta funzionalità diminuendo, così il rischio di possibili recidive.


   6/10   

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Edurete.org Roberto Trinchero