Giochi di costruzione e di movimento per i bambini della scuola primaria di Bianca Miglio

Aspetti psico-cognitivi e pedagogici dell'apprendimento

Un notevole contributo alla conoscenza del funzionamento dei processi cognitivi è stato offerto dagli studi condotti, in ambito psicologico, da alcuni autori quali: J. Piaget, L. S. Vigotskij e J. S. Bruner. Tali studi, hanno influenzato pesantemente l’ambito della pedagogia e in particolare il campo della psicologia cognitiva, la quale, alla luce delle ricerche condotte, ha rivisitato i propri metodi di insegnamento e di apprendimento. Jean Piaget epistemologo e psicologo svizzero, (1896-1980), considera il fanciullo un “organismo” attivo, in grado di adattarsi all’ambiente circostante e capace di apprendere attraverso i processi di assimilazione e di accomodamento. Nel momento dell’assimilazione la mente assorbe gli elementi dell’ambiente esterno, mentre in quello dell’accomodamento, la mente procede ordinando le informazioni contenute nel bagaglio conoscitivo (sviluppando così l’intelligenza), trasformando le proprie strutture per integrare nuovi contenuti di conoscenza appressa. Piaget propone la “teoria degli stadi evolutivi” nella quale evidenzia, sia come la crescita del fanciullo si basi sulla continua ricerca di equilibri fra la maturazione fisica e le complesse sollecitazioni dell’ambiente fisico e sociale con il quale si relaziona, sia come lo sviluppo intellettivo del fanciullo derivi dalla maturazione del sistema nervoso. Lo sviluppo mentale (e affettivo) consiste quindi, in un adattamento dell’organismo alla realtà, sempre più preciso ed elevato, attraverso quattro fasi durante le quali il soggetto accresce ed arricchisce i propri schemi cognitivi mediante l’interiorizzazione delle esperienze compiute. Nella tabella sottostante, è illustrato come J. Piaget suddivide gli stadi o periodi di sviluppo.

StadioEtàModalità di apprendimento
Periodo senso-motorioDalla nascita a 2 anni(circa)Il bambino compie progressi passando dai semplici riflessi ad azioni più complesse, attraverso la percezione sensoriale degli oggetti con cui agisce e della realtà spaziale nel quale si trova.
Periodo preoperatorio(intelligenza intuitiva o rappresentativa)Da 2 a 7 anni(circa)Il fanciullo imita i modelli rappresentando simbolicamente gli oggetti o le situazioni.
Periodo operatorio concreto(intelligenza concreta)Da 7 a 11 anni(circa)Il bambino possiede strutture logiche che gli consentono di effettuare confronti e operazioni mentali.
Periodo delle operazioni formali(intelligenza formale))Da 11 a 15 anni(circa)L’adolescente è in grado di effettuare operazioni mentali sulle operazioni logiche e formali.

Tabella: Teoria degli stadi

J. Piaget, fu tra i primi ad interessarsi della rappresentazione delle conoscenze, attribuendo loro un valore essenziale per lo sviluppo dell’intelligenza. Infatti, secondo la teoria piagetiana, solamente durante lo stadio pre-operatorio, e dunque a partire dal secondo anno di vita, inizia il processo di rappresentazione della conoscenza, il quale segue un percorso evolutivo che inizia con l’osservazione di un comportamento altrui, prosegue con l’elaborazione mentale, e termina nella riproduzione simultanea e differita. Ciò consente al bambino di oltrepassare i limiti dell’intelligenza senso-motoria, rappresentando mentalmente oggetti ed azioni, ed utilizzando operazioni simboliche per risolvere i problemi. A differenza di Piaget, Lev Semenovic Vygotskij, psicologo russo, (1896-1934), indirizzò i suoi studi sullo sviluppo della personalità infantile, del linguaggio, del gioco e delle attività espressive e creative, ponendo l’ambiente come variabile essenziale nei processi di apprendimento, inteso nelle sue connotazioni storico-culturali. Per Vygotskij, lo sviluppo del fanciullo è influenzato dalla cultura di appartenenza e dalla trama di rapporti sociali, i quali sono dunque alla base dello sviluppo del pensiero e del linguaggio. Quindi, lo sviluppo e l’apprendimento del fanciullo hanno origine all’interno di un processo che va dal sociale all’individuale, e crescendo attraverso la vita intellettuale che circonda l’individuo stesso. In tale prospettiva, la pedagogia e dunque gli interventi di insegnamento/apprendimento, dovrebbero essere articolati ponendo al centro tanto il bambino quanto i contenuti di conoscenza, individuando il livello attuale e il livello potenziale d’apprendimento del fanciullo, ed elaborando quella che Vygotskij definisce “area di sviluppo prossimale”, un’area intermedia nella quale svolgere la funzione di scaffolding, cioè un’impalcatura di sostegno finalizzata a favorire e rafforzare l’apprendimento. Nella seconda metà degli anni Novanta, si assiste ad una radicale revisione delle teorie dell’attivismo, proprio quel movimento attivistico che nel periodo tra le due guerre, aveva conosciuto il suo massimo sviluppo negli Stati Uniti e in Europa. In quegli anni la scuola attiva era stata al centro di vivaci discussioni e contrasti e aveva saputo affermarsi come modello fondato non solo su geniali intuizioni di singoli educatori, ma su solide basi pedagogiche, psicologiche e anche politiche, riflettendo gli ideali di democrazia progressista che aveva saputo opporre agli opposti totalitarismi di destra e di sinistra. Già negli anni ’30, tuttavia, avevano cominciato ad essere formulate numerose critiche, verso prassi educative troppo centrate sull’attività spontanea del fanciullo e sui suoi interessi, e sull’eccessivo peso attribuito all’adattamento dell’individuo alla vita sociale. Sacrificare l’adulto al fanciullo, secondo i critici dell’attivismo, non era errore diverso da quello di sacrificare il fanciullo all’adulto ed era illusione semplicistica ritenere che l’insegnamento potesse essere sempre adatto agli interessi del fanciullo. In questa direzione, l’approccio attivista fu sempre più considerato troppo permissivo e poco adeguato a garantire una formazione soddisfacente; si affermò un nuovo modo di considerare la formazione, più orientata a finalità culturali e cognitive. Così, gran parte degli studi psico-pedagogici, furono indirizzati soprattutto sull’analisi delle strutture cognitive e dei processi di apprendimento. In tale contesto, troviamo Jerome S. Bruner, studioso statunitense, il quale, in polemica con le teorie comportamentiste, avvertiva interesse verso la ricerca cognitiva scaturita dalle nuove teorie della personalità. Secondo Bruner, l’apprendimento avviene attraverso la trasmissione di contenuti di conoscenza, proprio all’interno di specifici contesti sociali, come per esempio la scuola; i “saperi”, vengono dunque acquisiti dal bambino, attraverso le esperienze compiute all’interno del contesto sociale e culturale di appartenenza. Secondo lo studioso, i bambini per acquisire adeguatamente i “saperi”, necessitano di essere motivati ad apprendere, grazie al disponibilità dell’insegnante, di creare le condizioni e le situazioni adatte all’apprendimento stesso, nel rispetto e la conoscenza dei ritmi di apprendimento e degli stili cognitivi di ciascun bambino. Il pensiero, non può dunque essere considerato né un processo puramente casuale, né solamente adattivo: esso costituisce invece un’attività volta alla soluzione di problemi, alla sistemazione di categorie, e alla definizione di strategie. Pensare significa collocarsi in una continuità circolare che lega e connette astrazioni e concretezza, classificando, scegliendo, ordinando, imponendo un sigillo concettuale agli oggetti di esperienza, e dominando una molteplicità di dati secondo un criterio; l’apprendimento è così capace di organizzare l’esperienza e di inserirla in una “struttura” (J. Bruner, Verso una teoria dell'istruzione, 1967).

Per costruire tale struttura, Bruner individua tre fasi attraverso le quali si sviluppa l’apprendimento stesso. Nella tabella sottostante, sono illustrate le tre fasi di costruzione del pensiero, elaborate da J. Bruner:

Rappresentazione attiva o operativa dal primo anno di vitaL’identificazione degli oggetti sembra dipendere non tanto dalla natura degli oggetti incontrati quanto dalle azioni evocate da loro (il bambino impara a conoscere un oggetto in funzione del suo utilizzo); l’azione costituisce lo strumento intellettivo essenziale.
Rappresentazione iconicaIl soggetto è in grado di rappresentarsi il mondo mediante un’immagine o uno schema spaziale relativamente indipendente dall’azione (rappresentazione concreta degli oggetti); l’atto intelligente si organizza attraverso l’immagine; la sperimentazione degli oggetti avviene attraverso l’esperienza sensoriale.
Rappresentazione simbolica Dai 2 ai 5 anniSi organizza partendo da una forma primitiva e innata di attività simbolica e, attraverso l’acculturazione, si specializza in sistemi diversi il più complesso dei quali è il linguaggio (ruolo essenziale svolto dal linguaggio orale e scritto).
Nella seconda infanzia, i tre sistemi di rappresentazione sono presenti ed il bambino è in grado di attivare il più adeguato, in base al contesto d’apprendimento.

Tabella:Rappresentazione del pensiero.

(J. Bruner, Studi sullo sviluppo cognitivo,1968)

L’apprendimento viene definito da Bruner come un processo collaborativo (F. Frabboni, F. Pinto Minerva,Manuale di pedagogia generale,2011), poiché si realizza in uno spazio “interpsichico”, cioè in uno spazio ricco di rapporti interpersonali, all’interno del quale si elaborano la prime competenze che, in un secondo momento, vengono trasformate sotto forma di pensiero secondo un percorso logico. L’intelligenza non è, così, situata nella “testa” del soggetto, bensì è collocata in un contesto storico e culturale ed è distribuita negli strumenti culturali e nelle risorse umane presenti all’interno dello stesso contesto socio-culturale. Nelle teorie di Bruner si denota come la cultura, attraverso le risorse che un preciso contesto culturale trasmette, come le credenze e il modo di pensare, influenzi l’educazione. Dunque l’apprendimento è definito, soprattutto come un’attività comunitaria, infatti, è proprio all’interno di una comunità di individui che il bambino vive situazioni cognitive che lo inducono a progredire nei propri livelli d’apprendimento. Bruner come Piaget considera l’apprendimento come processo attivo e costruttivo e, come Vygotskij, ritiene che l’apprendimento sia interattivo e socialmente e culturalmente influenzato. Numerosi fattori, di carattere sociale, culturale e intellettuale, influirono sulla determinazione di un nuovo punto di vista in ambito pedagogico, dell’educazione e delle teorie elaborate in merito; importante fu il contributo degli studi elaborati in campo psicologico, in quanto diedero origine alle così dette “psico-pedagogia” e “psicologia infantile”, il cui interesse era lo studio psico-cognitivo del fanciullo. Infatti, come la psicologia cognitiva, anche la psico-pedagogia, e in particolare la psicologia infantile, possono fornire importanti indicazioni per l’educazione del bambino nelle diverse fasi evolutive, consentendoci di riflettere sulle sue reali modalità di approccio alla realtà, di elaborazione e fissazione delle informazioni, acquisite attraverso un processo di elaborazione di esperienze, e dunque sulle modalità di apprendimento di quelle date conoscenze. È importante sottolineare come, alla base dell’apprendimento del bambino, vi sia la sua predisposizione all’apprendimento stesso, e il suo rapporto con l’ambiente dell’apprendimento stesso. Da un lato, infatti, egli possiede una vasta gamma di risorse per l’acquisizione di conoscenze, che interessano sia la sfera neurologica (plasticità cerebrale, basi neurofisiologiche della memoria, sviluppo neurosensoriale ecc.), sia quella psicologica (curiosità infantile, spinta all’esplorazione ambientale e alla socializzazione, strategie cognitive per l’apprendimento ecc.). Tali risorse, tuttavia, possono essere pienamente sfruttate solo se il bambino percepisce la presenza di un clima rassicurante e sereno: ne deriva l’importanza dell’ambiente nel quale il soggetto apprende. È dunque importante che l’educatore/insegnante, garantisca un ambiente che ponga il bambino nelle condizioni ottimali per poter attivare e sviluppare le sue competenze, evitando l’innescarsi di meccanismi neurofisiologici di difesa da situazioni ansiogene. Ciò sarà possibile solo se si rispetteranno le peculiarità dell’apprendimento infantile. Quest’ultimo varia a seconda dello stadio infantile nel quale il bambino si trova; ad esempio, nel periodo della prima infanzia, l’apprendimento sarà caratterizzato da alcuni elementi quali:

  • La pragmaticità, in quanto si fonda su azioni concrete, sulla possibilità di interagire con l’ambiente e con gli altri, sull’attivazione di molteplici canali neurosensoriali;
  • La ludicità, poiché il gioco non è solo un passatempo per il bambino, bensì la modalità da lui privilegiata per apprendere;
  • · L’attivazione di meccanismi di memoria implicita, basati sulla spontaneità e sull’inconsapevolezza dei processi matetici in corso (sebbene nella seconda e terza infanzia emergano e predominino anche meccanismi di memoria esplicita, fondati sull’intenzionalità).
  • Infatti i bambini aventi tra i tre e i quattro anni, prediligono giochi funzionali (ripetizioni, composizioni e scomposizioni linguistiche, incastri, catene e giochi di insiemistica) e giochi simbolici (attività espressive, ritmiche, musicali, filastrocche, simulazioni e giochi di memoria), giungendo, a partire dai cinque anni, alla predilezione di giochi di regole (giochi comunicativi basati sullo scambio di informazioni e opinioni, giochi a schema o con le carte). In tale fase, risulta evidente l’essenzialità del ruolo della stimolazione neurosensoriale ai fini dell’educazione del bambino. La prima infanzia è il periodo in cui lo sviluppo neurosensoriale è al culmine e l’uso integrato dei sensi favorisce al bambino uno strumento privilegiato per raccogliere dall’ambiente informazioni, che verranno poi elaborate a livello cerebrale. Da un lato, dunque, il bambino esplora la realtà vedendola, toccandola, annusandola, assaggiandola e udendola; dall’altro, la realtà stessa offre al bambino stimolazioni sensoriali da elaborare, le quali costituiscono una grande fonte di sviluppo delle enormi potenzialità del sistema nervoso infantile, la cui sostanza cerebrale è massimamente recettiva a sviluppare interconnessioni. Nella prima infanzia, così, il bambino apprende mettendo in moto principalmente le rappresentazioni percettive, basate sui dati provenienti dai registri sensoriali (come le rappresentazioni visuo-spaziali, ossia vere e proprie immagini mentali che attivano il sistema visivo), e le rappresentazioni lineari, grazie alle quali il materiale da ricordare (visto o udito), e soprattutto di carattere linguistico, viene organizzato in sequenze lineari, gerarchicamente organizzate e composte da pochi elementi da apprendere. È solo successivamente che il bambino, con l’avanzare nella seconda infanzia, passa da un’esperienza neurosensoriale, allo sviluppo e utilizzo di rappresentazioni semantiche, basate sul significato che attribuiamo al materiale da ricordare, spogliato dei dettagli meno importanti e rialeborato più astrattamente secondo il principio della rilevanza. Al bambino dovrebbero dunque essere precocemente presentate delle attività didattiche, incentrate su esperienze di stimolazione neurosensoriale in quanto, generando i primi meccanismi stimolo-risposta, rappresentano il requisito fondamentale allo sviluppo dell’apprendimento infantile. Tali esperienze, capaci di coinvolgere più sensi simultaneamente, sono caratterizzate dalla gradualità dell’intervento (proponendo un’attività commisurata al grado di maturazione che il bambino ha raggiunto nel momento in cui l’input viene proposto); da un’attività ordinata e coerente (evitando che la confusione delle informazioni renda difficoltosa la loro integrazione a livello nervoso e che quindi ralenti i processi di apprendimento); da esperienze costanti, affinché attraverso la reiterazione degli stimoli venga favorita la formazione e la stabilizzazione di precisi canali nervosi e sia garantita la fissazione delle informazioni nelle strutture della memoria implicita. Proprio quest’ultima, la memoria implicita, consente l’apprendimento inconscio di informazioni sotto forma di procedure ed automatismi e svolge inoltre un ruolo essenziale nell’acquisizione del linguaggio, in quanto garantisce l’immagazzinamento degli aspetti fonologici e morfo-sintattici della lingua. Essa è attivata mediante l’adozione di strategie di memorizzazione legate alla pratica, quali la scomposizione della procedura da acquisire in singole azioni, la ripetizione delle azioni dapprima singolarmente, poi in blocchi ed infine in un’intera procedura automatica. L’apprendimento cosciente ed intenzionale emerge solamente a partire dal secondo anno di vita, in corrispondenza all’iniziale maturazione della memoria esplicita, altra componente fondamentale della memoria a lungo termine. Caratteristiche peculiari ella memoria esplicita sono la consapevolezza (il bambino sa che sta apprendendo ed è in grado di esplicitare verbalmente il contenuto dell’apprendimento); la focalizzazione dell’attenzione (l’apprendimento avviene mediante capacità di concentrazione su un dato input, riducendo al minimo le possibilità di distrazione); livelli di attenzione alti (l’apprendimento consapevole richiede un alto grado di attenzione sostenuta e dipende, pertanto, dalla maturazione delle aree cerebrali deputate alle capacità attentive e di pianificazione dei compiti, che risiedono nel lobo frontale e maturano pienamente verso i sette anni); la multifunzionalità (la memoria esplicita consente la memorizzazione di episodi, eventi e scene mediante la memoria episodica, e di conoscenze teoriche, nozioni e concetti mediante la memoria semantica); e in fine la volontà di apprendimento (il bambino apprende solo se decide di farlo). Se ne deduce dunque che nella prima infanzia (0-4 anni), l’apprendimento avverrà principalmente grazie alla memoria implicita, mentre solo nella seconda infanzia (5-9 anni) la memoria esplicita, la cui maturazione piena avviene solo verso i sette anni di vita, svolgerà un ruolo predominante. Specialmente nella seconda e nella terza infanzia, infatti, emerge una progressiva consapevolezza del bambino sul proprio apprendimento e sulle strategie più efficaci da attivare in differenti contesti. In questa fase, compito degli educatori/insegnanti, è quello di promuovere la dimensione metacognitiva dell’apprendimento, stabilendo obiettivi conformi ai risultati provenienti dalla ricerca neuropsicologica. Per quanto concerne l’aspetto mnemonico e meta-cognitivo dell’apprendimento, possono essere suggeriti diversi obiettivi didattici realisticamente raggiungibili dagli allievi. Ad esempio, se l’insegnamento è rivolto a bambini che frequenta la scuola primaria, si potranno individuare obiettivi metamnemonici, quali:

    • - Saper riflettere sulle strategie usate durante le attività;
    • - Saper giudicare l’efficacia e l’utilità di una strategia usata;
    • - Saper controllare la distrazione;
    • - Saper attivare consciamente l’attenzione sostenuta;
    • - Saper organizzare il materiale da apprendere in modo da facilitare la memorizzazione (ad esempio, dividendo il materiale in piccole parti di memorizzazione, usando colori diversi per evidenziare, facendo leva su elementi extralinguistici ecc.).
    • Di ulteriore importanza, per quanto riguarda l’apprendimento dei bambini in età infantile, è la memoria emozionale, cioè il fatto che nel bambino, come nell’adulto, la dimensione emotiva svolge un ruolo imprescindibile, tanto che la decisione di trasferire le esperienze dal compartimento a breve termine a quello a lungo termine viene presa, molto spesso, su base emozionale. Infatti, emozioni e sentimenti si intrecciano contribuendo attivamente, in maniera positiva o negativa, all’apprendimento. È necessario tuttavia distinguere tra emozione e sentimento emotivo. Il primo termine indica semplicemente una serie di stati psicologici che affondano le loro radici in alcuni mutamenti somatici e neurobiologici riguardanti soprattutto il sistema nervoso. Gran parte delle emozioni è di natura inconscia o comunque, l’emergere della coscienza, avviene solo in un secondo momento. I sentimenti emotivi, invece, costituiscono la rielaborazione cosciente e la rappresentazione mentale delle emozioni, una volta che queste iniziano ad essere percepite coscientemente. Le attività atte all’apprendimento di conoscenze, devono dunque essere articolate in modo tale che il bambino possa attivare gli efficaci meccanismi di memoria, favorendo l’associazione positiva tra materiale da apprendere e il contesto di apprendimento ad opera della memoria emozionale. L’emozione positiva si trasforma così in sentimento positivo, ossia nel desiderio di apprendere, che gioca un ruolo primario soprattutto nella seconda infanzia, periodo nel quale si innescano meccanismi di memorizzazione cosciente e volontaria. È fondamentale, quindi, l’elaborazione di situazioni ed attività creative, come il gioco di gruppo, che possano positivamente colpire il soggetto, affinché esso possa utilizzare le attività stesse, come strumento per apprendere, immagazzinando e ricordando informazioni, tramite le esperienze vissute.

         3/8   

Approfondimenti/commenti:

    Nessuna voce inserita

Inserisci approfondimento/commento

Indice percorso Edita
Edurete.org Roberto Trinchero