Competenze comunicative e apprendimento linguistico di Daniela Fiorio, Annamaria Nigro

La sociolinguistica

I rapporti lingua e società

Imparare una lingua/acquisizione/ competenze comunicative/ pragmatica/ sociolinguistica/ metalinguistica

 La sociolinguistica [I1] [I2] [I3] [ES] [F1] [F2] [F3] [E1] [E2] [E3] è una disciplina che si occupa dei fenomeni linguistici dal punto di vista della dimensione sociale, studia cioè la lingua non come sistema astratto o codice immutabile, ma si concentra sulle concrete realizzazioni linguistiche derivanti dall’uso.

 Nel Dizionario di linguistica diretto da Gian Luigi Beccaria (1), Tullio Tellmon spiega che, nel 1970, lo studioso Fishman attribuì alla sociolinguistica il compito di riadattare le ““quattro W doppie” del giornalismo: who speaks what language to whom and when (chi parla, quale lingua, a chi e quando)” (2) e poco dopo Gaetano Berruto “propose di aggiungere, per completare l’individuazione degli scopi di ” questa disciplina, “le domande “come”, “perchè” e “dove”.”(3)

Ogni lingua storico – naturale, pur mantenendo un nucleo comune che non cambia, si modifica in relazione:

  • al tempo: variazione diacronica

  • allo spazio: variazione diatopica

  • alla situazione: variazione diafasica

  • alla stratificazione sociale: variazione diastratica

  • al mezzo o canale: variazione diamesica.

La variazione diacronica riguarda i cambiamenti avvenuti all’interno di una lingua con il trascorrere del tempo, infatti questa espressione deriva dal greco dia+chronos, che significa “attraverso il tempo”.

Vengono chiamate diatopiche  quelle variazioni nell’elaborazione degli enunciati linguistici che dipendono dalla zona geografica di provenienza del parlante. Si tratta della categoria più tipica della differenziazione linguistica.

Facendo riferimento alla lingua italiana si possono considerare come esempi i diversi italiani regionali che risultano marcati, rispetto all’italiano standard, soprattutto nella pronuncia, ma anche nell’ambito della morfosintassi.

Le variazioni linguistiche possono essere anche legate alle funzioni attribuite ad un enunciato (varietà funzionali) e alla situazione (varietà situazionali o contestuali) in cui si svolge l’interazione linguistica; si parla in questi casi di variazione diafasica. In relazione all’interlocutore e al contesto (cioè alla situazione comunicativa), ad esempio, una persona, con un buon livello di competenza linguistica, userà registri differenti (diversi gradi di elaborazione formale e un determinato lessico) per esprimere uno stesso contenuto.

Le variazioni del codice linguistico possono, però, essere condizionate non solo dal contesto d’uso, ma anche dall’argomento del messaggio, ad esempio attraverso l’utilizzo di sottocodici e i gerghi.

Si parla di sottocodice in riferimento a linguaggi particolari che vengono usati da alcune discipline specialistiche o in settori specifici dell’attività dell’uomo. I sottocodici non esulano dalle regole generali della lingua, ma si servono di elementi in più, solitamente in ambito lessicale, che non vengono normalmente usati nell’interazione linguistica quotidiana.

I gerghi non si limitano ad ampliare il lessico di una lingua, ma sono“vere e proprie manipolazioni e storture del nesso significante - significato”(4)  

Il variare della lingua in relazione alla diversità e alla stratificazione socio – culturale dei parlanti viene definito variazione diastratica.

Tullio Telmon, confrontando diafasia e diastratia nel dizionario citato in precedenza, fa notare che “mentre le varietà sociali o diastratiche appartengono al livello macrosociolinguistico, quelli diafasiche riguardano le singole interazioni tra individui e sono perciò oggetto di analisi microsociolinguistica” (5)

  La variazione diamesica si riferisce a quegli aspetti, rilevabili in differenti realizzazioni linguistiche, che risultano legati al mezzo impiegato (scritto, parlato, trasmesso). Ad esempio, nell’italiano parlato, è possibile riscontrare talvolta l’alterazione dell’ordine dato – nuovo della struttura informativa di una frase al fine di ottenere effetti comunicativi particolari.

Per comprendere meglio quanto affermato può essere utile riflettere sulle diversità tra il livello della scrittura e il livello dell’oralità. L’esperienza quotidiana permette di affermare che gli atti comunicativi ufficiali, ad esempio, sono di norma scritti. Lo scritto, infatti, è solitamente caratterizzato da una struttura formale più complessa e articolata se confrontata a quella tipica del parlato. Questa differenza può essere legata alla possibilità, offerta dal testo scritto, di rivedere più volte ed eventualmente modificare quanto elaborato dopo la sua stesura, ciò non può avvenire nell’enunciazione orale. Questa caratteristica rende inoltre lo scritto un mezzo adatto alla formulazione e trasmissione di contenuti complessi, poiché il lettore può, ad esempio, rileggere quante volte desidera i nuclei tematici che risultano più difficili.

D’altra parte nella comunicazione orale, un parlante può servirsi  nell’elaborare un enunciato linguistico di apporti inferenziali ed interpretativi che l’interlocutore potrà desumere dal contesto in cui avviene lo scambio comunicativo (si veda a questo proposito la parte relativa alla pragmatica). Inoltre la comunicazione orale può usare elementi extralinguistici quali il tono della voce e la gestualità, che non risultano accessibili a chi si serve del mezzo scritto.

Lo studioso Gaetano Berruto, in riferimento alla lingua italiana, ha indicato (1987) tra le varietà prevalentemente scritte l’italiano formale aulico, quello burocratico e quello letterario, mentre ha collocato tra le varietà prevalentemente orali l’italiano regionale, l’informale trascurato, il parlato colloquiale.

Una suddivisione di questo tipo può essere modificata dalla recente introduzione di nuovi mezzi di comunicazione quali posta elettronica, sms, chat-line che usano il mezzo della scrittura (elettronica) ma mostrano, nello stesso tempo, alcuni aspetti tipici dell’oralità. Questa nuova categoria viene chiamata da Elisabetta Mauroni (vedere sitografia) il “trasmesso”.

In riferimento a quanto scritto in precedenza, all’interno di una più ampia competenza linguistico – comunicativa, può essere definita competenza sociolinguistica di un parlante il saper usare una lingua e i diversi registri linguistici a livello diastratico e diamesico, essere cioè capaci di selezionare la varietà di lingua più adatta alle diverse situazioni comunicative.  

 


Domande-chiave di valutazione

  • Quali sono le varietà linguistiche?

  • Può esistere una lingua socialmente non marcata?

  • La competenza sociolinguistica può costituire la competenza comunicativa per eccellenza?


Per un ulteriore approfondimento 

(1)   Dizionario di linguistica, diretto da Gian Luigi Beccarla, Giulio Einaudi editore, Torino, 1996

(2)   Op. cit., pag. 676.

(3)   Op. cit., pag. 676.

(4)   Cecilia Adorno, Paola Ribotta, Insegnare e imparare la grammatica, paravia scriptorium, pag.139

(5)Dizionario di linguistica, op. cit., pag. 217.

 

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