Le canzoni di Fabrizio De Andrè di Stefano Galazzo

Fabrizio De Andrè: la poesia e la musica.

Fabrizio De Andrè [I1][E1][E2][E3] è considerato uno dei massimi cantautori [I1] [I2] [E1] [E2] [F1] [ES1] italiani. La grande novità che egli portò nel nostro Paese, negli anni Sessanta, fu il tentativo di innalzare a livello letterario la canzone [I1] [F1], avvicinandola, per qualità e contenuti, alla poesia. Non fu lui, è opportuno dirlo, l'unico artista italiano, e neppure il primo, a tentare una operazione di tale portata. Sergio Endrigo, per citare solo un esempio, si avvalse, nella propria carriera, dell'ausilio di poeti come Giuseppe Ungaretti [I1] [I2] [I3] [E1] [E2] o Gianni Rodari, dei quali divenne amico. Uno dei risultati più belli di queste preziose collaborazioni fu il disco, La vita, amico, è l'arte dell'incontro, in cui apparve anche un grande della musica e della poesia brasiliane: Vinicius de Moraes [ES1] [E1].

Con Fabrizio De Andrè avvenne qualcosa di simile, ma nello stesso tempo molto diverso: accanto alla tematica amorosa, che continuava ad essere presente nelle canzoni dell'epoca in modo abbastanza significativo, anche in quegli artisti che tentavano strade meno commerciali, egli propose contenuti più sociali, direi più esistenziali e filosofici, che diventavano il filo conduttore di un intero disco. Cosa intendo dire con questo? Il disco non era più concepito come un insieme di pezzi che potevano parlare, singolarmente, di amore, morte, problemi sociali ecc ecc, senza alcun legame l'uno con l'altro, ma come un'opera teatrale, o anche un romanzo: le canzoni, insomma, diventavano tanti piccoli capitoli di un discorso più ampio; erano unite da un argomento comune. Fabrizio De Andrè portò in Italia il concept album [I1] [E1], che fu uno dei segni distintivi del suo modo di fare musica: tutti i suoi dischi, con pochissime eccezioni, sono concept album.

Ma Fabrizio De Andrè non si limitò a fare questo: tutta la sua lunga produzione artistica, infatti, è stata un costante dialogo con la letteratura e la poesia: molti dei suoi dischi sono la rielaborazione di opere letterarie come l'Antologia di Spoon River [E1][I1] o le poesie di Francois Villon [E1][E2] [F1][F2][F3]. Questo suo personale dialogare con la poesia si è svolto in modo del tutto particolare con i versi dei cosiddetti "poeti maledetti", che all'epoca in cui vissero non furono bene accolti dalla società, anche per la loro scelta di essere "contro" e vivere ai margini. Significativo in tal senso l'amore per Francois Villon [I2] [E1] [F1][F2][F3], e per Cecco Angiolieri [E1], di cui Fabrizio De Andrè, nell'album Volume III, pubblicato nel 1970, rilesse S'fossi foco [I1] [I2][I3]. In questo disco appare un altro brano fondamentale per la carriera di De Andrè: La canzone di Marinella [I1] [I2] [F1], infatti, fu il pezzo che, grazie all'interpretazione di Mina, lo portò alla notorietà. Un'altra importante rilettura di una poesia della nostra tradizione letteraria è La città vecchia [I1], ispirata a una lirica di Umberto Saba [I1] [E1] intitolata, appunto Città vecchia.

Più su parlavo di Sergio Endrigo [I1] e raccontavo delle sue importanti collaborazioni con poeti di grande rilievo come Giuseppe Ungaretti [I1] [I2] [I3] [E1] [E2]. Pure Fabrizio De Andrè si avvalse, nella sua carriera, dell'aiuto di alcuni poeti per scrivere le sue canzoni. Fra questi, è bene ricordare Riccardo Mannerini, con cui scrisse uno dei suoi dischi più importanti: Tutti morimmo a stento.

Nel suo ultimo disco, Anime salve del 1996, Fabrizio De Andrè tradusse in lingua italiana alcuni versi del poeta colombiano Alvaro Mutis [E1] [ES1] [ES2] [ES3] che diedero vita a Smisurata preghiera [I1] [I2]

Il legame più importante, però, De Andrè lo ebbe con la musica e la poesia francesi. Egli amava riconoscere come suo unico, grande maestro, il cantautore e poeta francese Georges Brassens [I1] [I2] [I3] [E1] [F1] [ES1] [ES2], di cui tradusse e cantò in italiano diverse canzoni: la dissacrante Il gorilla [I1], ad esempio, ma anche Marcia nuziale [I1] (presenti, rispettivamente, in Volume III e in Volume I ). Da Brassens, De Andrè prese l'attenzione per i diseredati, gli ultimi, i rifiutati dalla società. Simbolo di questa umanità derelitta ai margini sono le prostitute, cantate molto spesso dall'artista genovese. Ricordiamo in particolare due brani, tratti da Volume I : sono Bocca di Rosa [I1] e Via del Campo [I1]. In queste canzoni il linguaggio è crudo e piuttosto realistico. De Andrè, figlio della "Genova bene", amava trascorrere le proprie giornate nelle vie della sua città, tra quei derelitti e quelle "puttane" che diventano (così come era stato in Brassens) i protagonisti delle sue ballate.

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Edurete.org Roberto Trinchero