La musica dell'Impero del Mali di Stefano Soldati

L'EVOLUZIONE DELLA MUSICA DOPO LA COLONIZZAZIONE

Durante il periodo coloniale, l’ordine sociale delle popolazioni riferibili al Mandé si sfaldò. Il potere economico e politico dei nobili (hòròn) e degli uomini di potere crollò. L’amministrazione coloniale abolì la schiavitù e i jòn furono scolarizzati ed impiegati nell’esercito. Coloro che un tempo rappresentavano il gradino più basso della società, occuparono posizioni più elevate nella scala sociale, posizioni di responsabilità. I “nuovi promossi” parteciparono in modo diretto al potere dei colonizzatori. La colonizzazione ha segnato un profondo mutamento nel modo di vivere che avevano le persone. Di più; ha mutato l’ordine sociale ed il sistema di governo. Le tradizioni sono state messe a soqquadro e sembrano essere ricordate e praticate sempre meno La colonizzazione è da considerare dunque uno dei principali fattori d’acculturazione e quindi di mutazione. Anche la musica e la danza sono compresi in questo processo di mutazione, tanto che oggi la musica contemporanea (africana) fatta passare spesso come radicata nella tradizione, risponde alle esigenze di un mercato influenzato dalle società di consumo occidentale. Per di più, le condizioni di vita a cui sono costrette le popolazioni africane, condizioni che probabilmente sono in parte il frutto del giogo coloniale, portano molte persone a cercare di dare una svolta alla propria vita e a quella della propria famiglia, migrando verso l’ Europa o gli U.S.A. Tra i migranti ci sono molti sedicenti insegnanti di musica, provenienti da Senegal, Mali, Burkina Faso, Guinea e Costa d’Avorio. Spesso, però, costoro sono musicisti improvvisati e dunque poco adatti a trasmettere fedelmente il proprio patrimonio musicale d’appartenenza. Questi fenomeni mischiano le acque di un oceano già pieno di correnti e diventa così difficile ricostruire la storia e l’evoluzione della musica africana. Secondo Vincent Zanetti la musica tradizionale africana (per musica africana si intende qui la musica di Senegal, Mali, Burkina Faso, Guinea e Costa d’Avorio) è composta dalla “musica tradizionale secolare”, in cui ogni gruppo etnico pratica la propria musica di riferimento eseguendola con strumenti tradizionali, e da tradizioni musicali uscite dal processo di acculturazione [IT1] in cui la cultura Europea ha avuto un ruolo importante. In questo secondo tipo di musica, i musicisti si descrivono come tradizionali, ma coscientemente o no, hanno cambiato il proprio orizzonte culturale. I tipi di musica riferibili al secondo insieme sono quelli che vedono impegnati i musicisti africani con strumenti moderni (chitarra, saxofono, pianola, basso, batteria etc) o con strumenti tradizionali (es balafon) che presentano però accordature differenti rispetto a quelle tradizionali. Per poter suonare con la chitarra e con tutti gli strumenti poc’anzi citati, il balafon deve avere un’accordatura temperata [IT1] altrimenti suonerebbe “stonato” rispetto agli altri strumenti. Esistono vari tipi di balafon.[F1] [F1] [F1] Ogni balafon corrisponde ad un etnia e i diversi balafon presentano intervalli melodici differenti (modi differenti) e scale differenti (pentafoniche ed eptafoniche). Spesso gli intervalli tra le note non sono come quelli conosciuti nella musica “occidentale” (1/2 tono od 1 tono), ma presentano diverse sfumature. Sono queste che determinano l’elemento caratteristico di questo tipo di musica. Per questo l’accordatura temperata è vista dai griots tradizionalisti come un elemento che paralizza la musica e che toglie ad essa una parte di vita. Questa evoluzione dei repertori e delle pratiche musicali sembra il risultato del sempre maggiore utilizzo della radio e della diffusione di cassette di musica tradizionale, che hanno condotto ed incoraggiato i musicisti a modificare il proprio stile e ad imitare il “modello del momento”, il modello più di moda. Sembra che gli unici interessati alle vecchie tradizioni musicali siano i folcloristi e gli etnomusicologi che si affrettano a registrare gli ultimi resti di un patrimonio condannato a scomparire come le strutture sociali alle quali apparteneva. Oggi si è ancora in grado di ricostruire la storia della musica poiché alcuni testimoni sono ancora in vita. Costoro,spesso, non hanno più eredi a cui trasmettere le proprie conoscenze. Anche per questo motivo oggi, posti di fronte a certe domande, alcuni griots “moderni” non sanno rispondere, o se sono in grado, forniscono risposte che assomigliano ad un collage di informazioni avute durante la gioventù o di cose che hanno imparato addirittura in Europa, avendo constatato l’interesse di alcuni europei. Per Zanetti sono dunque i ricercatori occidentali che hanno la responsabilità di salvare il più possibile i vari repertori tradizionali, fino a quando gli africani non disporranno dei mezzi necessari. Zanetti continua dicendo che la mancanza da parte degli africani di questi mezzi, è dovuta al fatto che in questo momento gli africani hanno altre urgenze. L’autore sostiene che non si debba paralizzare l’espressione musicale in funzione di un accademismo astratto, ma che la raccolta dei vari repertori debba testimoniare un’evoluzione musicale troppo rapida per essere completamente interiorizzata dagli attori principali.(Cfr, Vincent Zanetti, “ De la place du village aux scenes internationales”, Cahier de Musique Traditionelles, 1996)

L’evoluzione della musica si delinea parallelamente all’evoluzione degli strumenti musicali. Il djembè, ad esempio, è strumento oramai utilizzato in tutta l’Africa dell’Ovest, anche da musicisti che non sono originari del Mandè. Infatti In Africa, questo tamburo viene suonato da una moltitudine di gruppi etnici, tra cui ci sono: I Dioula del Burkina Faso e della Costa d’Avorio, i Bambarà del Mali, i Susu, i Bagà e i Landuma della Guinea, i Peul di Fouta-Djalon, i Soninkè del Mali e del Senegal e i Bobo del Mali e del Burkina Faso.(Vincent Zanetti, op.cit, cfr p 171) In Occidente (riferimento politico-economico e non geografico), il djembè è uno degli strumenti etnici più popolari (anche se in Italia molte persone ancora lo chiamano bongo). Per quanto questo strumento sia diffuso risulta sempre poco conosciuto e ancora più sconosciuto è il contesto culturale che lo circonda. In Europa si è cominciato a conoscere il djembè grazie agli spettacoli messi in scena dai balletti nazionali e soprattutto dal Balletto Nazionale della Guinea. [E1] Nel 1958 la Guinea si era resa indipendente dalla Francia. L’allora presidente Sekou Touré divenne famoso per una celebre frase rivolta a De Gaulle durante la visita del Presidente francese in Guinea: <> (Uschi Billmeier, Mamady Keita, un vie pou le djembè, Engerda 1999, p 17) La Francia si ritirò smantellando tutte le strutture pubbliche. Sekoù Tourè voleva che il mondo conoscesse la storia della Guinea e dell’Africa Occidentale e decise di istituire un Balletto Nazionale che <> (Uschi Billmeier, Mamady Keita, un vie pou le djembè, Engerda 1999 p. 41) Quando i balletti nazionali vennero formati, dei reclutatori furono inviati in tutte le regioni per ingaggiare i migliori specialisti di ogni repertorio musicale. Costoro venivano portati nella capitale dove si riunivano per provare la costruzione di un nuovo repertorio musicale, sintesi di tutti i differenti repertori. Bisognava però scegliere degli strumenti comuni, in quanto ogni repertorio era suonato con strumenti differenti. Vennero scelti quelli che avrebbero assicurato maggior potenza, spettacolarità e adattabilità. Il djembè si impose per la sua potenza e la sua varietà timbrica e divenne lo strumento solista più usato. In merito al reclutamento dei musicisti sembra interessante riportare l’esperienza di uno dei djembefolà (trad: colui che fa parlare il djembè) più famosi: Mamady Keita: <djembè ed i dununs.>> (Uschi Billmeier, Mamady Keita, un vie pou le djembè, Engerda 1999 p.36) Come si evince dal racconto di Mamady Keità, in ogni regione della Guinea si suonavano ritmi e strumenti differenti. Un tempo un djembefolà per imparare dei ritmi nuovi doveva girare diversi villaggi. Con la creazione dei balletti i musicisti ebbero la possibilità di scoprire nuovi repertori e stili. Ciò incoraggiò la nascita del professionismo tra i musicisti che incominciarono a guadagnare del denaro attraverso la musica. Oggi, vivendo in città e non più al villaggio, i nuovi musicisti sono agevolati nell’apprendimento che è diventato più veloce e vario. Avviene così un livellamento dei repertori, sempre meno differenziati e sempre più omologati. I principali centri di trasmissione e diffusione del djembè sono stati : Conakry (Guinea), Dakar (Senegal), Bouakè ed Abidjan (Costa d’Avorio), Bamako (Mali), Bobo-Dioulasso (Burkina-Faso). Conakry, capitale della Guinea, sotto la presidenza di Ahmed Sekou Tourè, fu l’epicentro della politica culturale. Subito dopo l’indipendenza della Guinea, dei reclutatori e dei formatori furono inviati nelle regioni di tutta la repubblica per selezionare i migliori musicisti e i migliori ballerini, di ogni regione e dunque anche di ogni repertorio, e portarli nella capitale. Qui ci sarebbe stata un’ulteriore selezione da cui sarebbe uscita la formazione che avrebbe poi composto il balletto nazionale (abbiamo prima visto l’esempio di Mamady Keita). I musicisti selezionati conoscevano rispettivamente diversi repertori e avevano sempre e solo praticato la propria arte durante feste e riti. Non erano dunque abituati al concetto di spettacolo ne tanto meno al concetto di concerto. Fu insegnato loro a suonare su di un palcoscenico. Lo strumento solista selezionato fu il djembè, per la sua potenza e per la sua adattabilità ai diversi repertori. I formatori si impegnarono a far lavorare gli artisti su l’acquisizione di maggiore potenza, rapidità e musicalità. Lo strumento incominciò allora ad assumere un altro linguaggio capace di accompagnare la danza allorquando anch’essa era caratterizzata da coreografie molto elaborate. Da questo contesto uscirono dei musicisti che ancora oggi sono considerati i migliori. Costoro avevano un alto livello di conoscenza e mostravano grande abilità nella pratica dello strumento. Tra loro ci sono : Famoudou Konatè, Fadoubà Oulare, Noumoudy Keita, Gbanworo Keita e Mamady “Kargus” Keita. [E1] Questo modello di reclutamento fu seguito anche dai paesi vicini come il Senegal ed il Mali. Anche in questi paesi il djembe divenne strumento solista, ma i djembefolà guinenani furono consacrati come i migliori e venivano considerati, dai loro colleghi dei paesi vicini, dei geni e la loro musica diventò, per tutti i djembefolà, il modello da seguire. Il bagaglio ritmico del balletto venne assimilato e riproposto nelle feste tradizionali. Il suo repertorio musicale divenne fulcro dell’apprendimento dello strumento e si espanse in tutte le zone d’influenza mandinga in cui si suonava il djembè. Tutto ciò provocò un nuovo sviluppo dei repertori tradizionali.

A Conakry, i ritmi Malinkè del nord-est del paese si mischiavano con i ritmi Susu, Baga, Landouma e della Bassa costa. I ritmi incominciarono ad essere suonati a velocità sempre maggiori e le parti di djembè d’accompagnamento aumentavano. I ritmi che un tempo venivano suonati con un djembè e un tamburo basso, si suonavano ormai con tre djembè e tre dununs (dunun, sangban, kenkeni) sul modello della musica Malinkè propria della regione di Hamana e Kankan e Kourussa. Con il passare del tempo i giovani percussionisti, cresciuti in questo nuovo contesto musicale, incominciavano a non conoscere più i contesti socio-culturali e le tradizioni d’origine dei ritmi. Questi venivano interpretati tutti nella stessa maniera senza tenere conto delle diversità e dunque dell’originalità di ognuno. Essi, inconsapevolmente, partecipavano così alla nascita ed alla diffusione di un nuovo genere musicale, di tipo urbano, originatosi a partire dal repertorio dei balletti. Questo genere si è esteso anche ai paesi vicini grazie al commercio delle cassette dei Balletti Africani e del celebre gruppo Les percussions de Guinee. Quest’ultimo, fondato a partire dall’iniziativa di un artista francese, era il primo gruppo ad esibirsi suonando solamente djembè e tamburi bassi. Per la prima volta il djembè non doveva assolvere il compito di accompagnare la danza. Questa soluzione ebbe un grande successo in tutto il mondo. Il virtuosismo e la spettacolarità degli strumentisti bastavano a “riempire il palco” ed anzi rispettavano le esigenze di un pubblico occidentale “avido” di virtuosismi. Nel 1984 il presidente Sekou Tourè morì. Con la sua morte cadde anche il regime che tante innocenti vittime aveva provocato. Molti artisti allora videro spalancarsi la strada per poter valicare il confine nazionale e cercare “fortuna” altrove e soprattutto nei paesi confinanti dove vi era un’importante presenza di popolazioni di origine Susu e Malinkè. Molti artisti, provenienti dalla Guinea ma anche dal Mali, si trasferirono ad Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, che a quel tempo era anche capitale economica. Qui accadde un fatto nuovo; si sviluppò un forte fermento artistico e culturale generato da iniziative artistiche individuali e non nazionali. Abidjan è stata, per un periodo di tempo, il crocevia di molti artisti: musicisti e non. I repertori musicali cominciarono a mischiarsi e ad influenzarsi, ma più lentamente rispetto a quanto era avvenuto nei balletti. I djembefolà mostravano la propria abilità impadronendosi di più repertori possibile. Una presenza così massiccia di musicisti dava la possibilità a tutti di imparare cose mai sentite prima. Inoltre, essendo presenti sul territorio diversi gruppi etnici (corrispondenti a diversi repertori musicali) il mercato si allargò, perchè i djembefolà che conoscevano più repertori musicali avevano maggiori possibilità di lavorare suonando durante le cerimonie i riti e le feste. Con il passare del tempo i djembefolà iniziarono a studiare e riadattare repertori che non avevano origine mandinga. Ne è un esempio il ritmo Zawuli, originario dell’ etnia Gouro in Costa d’Avorio, che ebbe molto successo nella comunità mandinga a partire dalla seconda metà degli anni ’80. Oggi pochi djembefolà conoscono l’origine di Zawuli. Molti credono che sia un brano creato nei balletti, mentre questo è un ritmo creato sulla strada. Tra i musicisti c’erano chiaramente delle differenze per quanto riguarda capacità e conoscenze. Non tutti erano in grado di padroneggiare i diverso repertori. Solo i più abili. Tra questi c’erano Fakourubà Diabatè, appartenente ad una grande famiglia di griots di Kita, Mamady Ntoman Keita[F1] ,djembefolà originario di Sakoudogou nella regione di Siguiri in Guinea. Mamady Ntoman Keita era molto dotato e rinomato. Era un musicista che riusciva a “rubare” i repertori di altri musicisti e ad interiorizzarli così facilmente da poter competere con essi sul loro stesso “campo”. Riusciva a capire immediatamente le diverse poliritmie ed ad improvvisarci sopra con stile inimitabile. Per questo veniva anche chiamato Mamady “secret” (trad: segreto). Un altro grande centro di diffusione del djembè fu Bouakè in Costa d’Avorio. Come nel caso di Abidjan, qui il repertorio si sviluppò soprattutto in funzione della domanda, delle prestazioni musicali, che proveniva da parte delle numerose minoranze etniche. A Bouakè i djembefolà più famosi e rinomati sono stati Adama Drame,[E1] appartenente ad una famiglia di griots della regione di Nouna in Burkina-Faso e Soungalo Coulibaly,[IT1] figlio del capo villaggio di Bélékò, in Mali. Dunque Soungalo Coulibaly apparteneva ad una famiglia hòròn. Soungalò fu sin da piccolo iniziato alla tradizione Bambara del proprio villaggio e dunque non suonava il djembè, ma suonava il bara ed il sabati per accompagnare i lavori nei campi e le feste. Nei villaggi Bambarà c’era un vasto repertorio di canzoni e l’accesso al repertorio non era consentito ad una sola casta, come accadeva in Guinea. Inoltre non in tutti i villaggi si registrava la presenza di griots. Sungalo Coulibaly imparò a suonare il djembè da autodidatta, riuscendo ad interiorizzare e padroneggiare i ritmi (a lui prima sconosciuti) che apprendeva suonando durante le feste. Adamà Dramè e Soungalò Coulibaly hanno sviluppato, parallelamente ai repertori utilizzati per animare feste, cerimonie e riti, dei repertori da esibire in contesti più organizzati, ovvero in occasione di concerti. Il concetto di concerto qui era molto giovane; ereditato in parte dalle esperienze di questi artisti in Occidente e dall’altro dalle competizioni che si svolgevano (dopo l’indipendenza dei vari Stati dell’ Ovest Africa) annualmente e che servivano a dare visibilità alle diverse espressioni artistiche dei numerosi gruppi etnici che popolavano questi Stati. In Europa la cultura musicale dell’Africa dell’Ovest giunse anche grazie a questi due artisti, oltre che grazie ai Balletti guineani. Ciò che rendeva speciali i due artisti, oltre ad una raffinata tecnica e musicalità, fu la capacità di creare dei repertori musicali nati dall’insieme dei diversi repertori presenti in Costa d’Avorio. Inoltre i due furono tra i primi insieme al gruppo Percussion de Guinee ad eseguire concerti solo strumentali. Adama Dramè divenne famoso in Europa per i suoi concerti dove si esibiva da solo sul palcoscenico. Intorno alla metà degli anni novanta gli amatori (occidentali) della musica africana si interessarono maggiormente alle poliritmie grazie anche ad alcuni artisti, tra cui soprattutto Mamady Keita (Kargus) che le aveva rese comprensibili e dunque accessibili. Gli stessi Adama Dramè e Soungalo Coulibaly, considerando i nuovi interessi degli occidentali, fecero dei cambiamenti. Adama Dramè abbandonò i concerti in solitaria e ritornò alla formula dei balletti e Soungalo Coulibaly, ispirandosi alla moda occidentale della Word music, costruì un repertorio frutto dell’intreccio dei diversi stili musicali che aveva praticato durante la propria carriera. Prendeva gli antichi repertori del suo paese e rendeva attuali parole ed arrangiamenti. Aveva anche ingaggiato nella sua troupe due musicisti francesi: Anne-France Brunette e Vincent Zanetti. Il mercato occidentale incominciava sempre più a rappresentare un fattore di cambiamento e gli artisti africani si adeguavano e cambiavano la forma ed il repertorio delle proprie esibizioni. Ciò, nel caso di Soungalo Coulibaly, ha portato delle soluzioni innovative ed originali dove la contaminazione ha giocato un ruolo fondamentale, contaminazione praticata fino in fondo con l’acquisizione di due artisti europei. Per essere notati nel mercato occidentale gli artisti tradizionali sapevano di doversi distinguere, suonando ritmi alla moda e cercando di innovarsi costantemente. Alcuni hanno avuto uno sviluppo artistico che forse non avrebbero avuto se non avessero viaggiato in Europa o In U.S.A. Un altro centro importante è Bobo Dioulasso in Burkina Faso. Il djembè, da molto tempo, è uno strumento molto utilizzato in questo paese, ma non è radicato nella tradizione. Tradizionali, qui, sono strumenti come il bara, il longan, i balafon, etc. Il djembè ha però catturato l’attenzione di molti musicisti sino a diventare uno degli strumenti più suonati in questo paese. A partire dagli anni ottanta a Bobo-Dioulasso venne creato un nuovo genere musicale, risultato dell’incrocio dei repertori Senufò, Bobo e Bambara, dove il djembè si impone come strumento solista. Questo genere deve la sua popolarità ad un gruppo storico del Burkina Faso: i Farafina. Questo gruppo rappresenta per il Burkina Faso ciò che i balletti nazionali hanno rappresentato per gli altri Stati. E’stato il gruppo più famoso che ha consentito al pubblico occidentale di conoscere il Burkina Faso e la sua musica. Oggi il Burkina Faso, e soprattutto Bobo Dioulasso rappresenta la nuova meta per il turismo musicale. Si può dire che qui i giovani musicisti conoscano maggiormente, rispetto ai più anziani, il repertorio del djembè. Spesso questi ultimi erano suonatori di bara [F1] ">[F1] che si sono adattati al djembè sia per questioni tecniche (potenza, varietà timbrica, adattabilità) sia per questioni di mercato (il djembè ha portato in questa zona dell’Africa molti turisti attratti dalla musica), trasportando i “tocchi” del bara sul djembè. I giovani, invece, hanno iniziato sin da piccoli con il djembè e soprattutto hanno ascoltato le cassette di Mamady Keita e delle Percussion de Guinee. Così è possibile imparare a Bobo-Dioulasso ritmi guineani, maliani, senegalesi o ivoriani. Un inconveniente di questa nuova situazione è la perdita di conoscenza riguardo le origini dei ritmi e riguardo il loro significato. Anche il Mali era rappresentato del balletto nazionale ma le difficoltà economiche e politiche ne hanno provocato la scomparsa. In questo paese il djembè non ha trovato grande diffusione per diversi motivi. Lo sviluppo musicale si è concentrato maggiormente su stili musicali di diverso tipo. Hanno visto una grande evoluzione gli strumenti a corde. Se già in passato il Mali era famoso per gli strumenti a corda come il n’goni, con il tempo, in questo paese hanno conosciuto il successo suonatori di chitarra di grandissimo livello (Ali Farkà Toure, Toumani Diabate, Habib Koite, etc.). Inoltre è anche imponente la tradizione delle cantanti tra cui Omou Sangare e Rokia Traorè. Un altro motivo per cui le percussioni in questo paese non hanno trovato grande spazio è da ricondurre al fattore religioso. L’ascesa dell’islam intransigente ha indebolito maggiormente una cultura tradizionale già abbastanza indebolita dal periodo coloniale. Questo ha reso possibile un clima in cui danza ed i tamburi non fossero viste di buon occhio, dove i percussionisti facevano fatica a trovare lavoro nelle feste o durante le cerimonie. Infine c’è il Senegal con Dakar che oggi rappresenta uno dei più grandi centri di fabbricazione di djembè e dununs. Anche il Senegal ha organizzato un Balletto Nazionale con l’intento (come gli altri) di mostrare la cultura del Paese nel mondo. Con il tempo si sono poi sviluppati molti altri balletti privati e questo ha provocato l’arrivo in Senegal di musicisti di diversa origini, in maggioranza Guineani e Maliani. Costoro avevano una formazione artistica avanzata ma tuttavia non riuscivano a trovare impiego nei balletti del proprio paese dove la selezione era molto dura. Vantavano, però, una formazione di alto livello e dunque potevano cercare la propria fortuna in altri paesi come appunto il Senegal. Riportando l’articolo di Vincent Zanetti si è voluto dare una prospettiva dello sviluppo di uno strumento in particolare : il djembè. Per allargare il campo d’analisi sembra opportuno riportare l’articolo di un autore maliano che spiega l’evoluzione della musica, nel suo insieme.

Mamadou Diawara (Per la restante parte del paragrafo, cfr, Mamadou Diawara Cahiers d’Études africaines Année 1996, Volume 36, Numéro 144, pp. 591-612) mette in relazione l’evoluzione dei repertori musicali con l’approdo nella scena sociale di mezzi di comunicazione (come la radio e la televisione) da una parte, e con l’organizzazione di eventi culturali a livello nazionale, dall’altra. I dati raccolti da Diawara riguardano principalmente il Mali. L’evoluzione dei repertori musicali è frutto, come detto prima, del cambiamento della società, cambiamento che vede come principale causa-effetto lo sviluppo di nuovi centri urbani. A questo sviluppo segue l’esodo verso le città dovuto ad una forte domanda di mano-d’opera. Alla grande migrazione di massa partecipano anche i griots, in cerca di “padroni” tra i nuovi ceti forti della società ed in cerca di nuovi modi di esercitare la propria professione, rivelatasi in piena evoluzione. Infatti a partire dal periodo coloniale, i griots non svolgono più ruoli di consigliere, porta parola, storico e narratore. Questo cambiamento è dovuto, tra gli altri fattori, all’introduzione progressiva della radio e del magnetofono. La radio, infatti, rappresenta un potente mezzo di diffusione di messaggi. L’efficacia di questo medium è principalmente dovuta a tre fattori. La ripetitività, la durata e l’anonimità. I messaggi sono continuamente ripetuti nel tempo e parlano di cose e persone che non si conoscono sul suolo nazionale. La grande rivoluzione della radio è rappresentata dalla possibilità di far giungere un qualsiasi messaggio in tutto il territorio (in questo caso il Mali). Le orecchie che ascoltano si moltiplicano. La radio influenza e diviene progressivamente autorità; i suoi messaggi sono forti e veri. Gli ascoltatori lentamente si fidelizzano. Grande importanza assume il ruolo del conduttore radiofonico che acquisendo un certo consenso del pubblico, acquista anche maggior possibilità d’influenza. Da questo paesaggio i griots sembrano essere tagliati fuori. La radio ha sostituito parte dei loro compiti nella società. I griots hanno invece saputo sfruttare questo medium diventando primi protagonisti delle trasmissioni radiofoniche. Alcuni si esibivano, dietro remunerazione, in elogi (cantati e non) destinati alla nuova committenza: i nuovi ricchi, i grandi commercianti o la classe politica. Altri, come Bazouma Sissoko avevano inciso i grandi classici del patrimonio orale per conto di “Radio diffusion national du Mali”. Le produzioni narrate o cantate da parte dei griot assumevano più o meno valore a seconda del successo della trasmissione in cui venivano presentate. Se quindi il conduttore e la trasmissione avevano successo anche le produzioni presentate al loro interno avrebbero avuto successo. Questo può dare l’idea della forte influenza che un medium del genere può aver esercitato nella costruzione di un gusto musicale condiviso. Ma non solo; nel periodo successivo all’indipendenza dalla Francia, la radio ha avuto un’importanza strategica nella trasmissione di valori legati al nazionalismo ed al socialismo. Ha avuto, inoltre, grande merito nella costruzione di un’identità culturale condivisa. In ragione di questo obiettivo, venne istituita dal nuovo governo, la “Semain national de la jeunesse”, una manifestazione culturale e sportiva organizzata ogni due anni, dove artisti delle sei regioni amministrative, in cui era suddiviso il Mali, preparavano degli spettacoli che rappresentassero i repertori caratteristici della propria regione. Questi, poi, venivano trasmessi radiofonicamente. Sulla linea d’onda della creazione di una nuova identità culturale condivisa, ci fu il riconoscimento da parte del governo, di un’associazione chiamata “ensamble instrumental national”, trasformata, dallo stesso governo in un’istituzione ufficiale. Questa orchestra fu composta da strumentisti e coristi provenienti dalle diverse regioni del paese. Con il passare del tempo la “Semain national de la jeunesse”e lo “ensamble instrumental national” divennero, attraverso la radio, fonte della nuova tradizione. Conseguentemente a ciò si son potute riscontrare numerose novità. Donne e uomini di qualsiasi classe sociale si esibivano insieme davanti ad un pubblico. La rappresentazione artistica non fu più legata al concetto di casta. Le cerimonie legate alla vita sociale, inscenate tramite la danza e la musica, si sono tramutate in spettacolo ed hanno iniziato ad assumere una valenza artistica. Il gusto musicale del pubblico, anche grazie all’amplificazione radiofonica, si è modificato, si è adattato e ha stimolato a sua volta la nuova produzione. Le donne (soprattutto in Mali) hanno iniziato a godere di successi e riconoscimenti mai conosciuti prima. Mentre precedentemente le griottes avevano avuto un ruolo secondario rispetto al marito, a partire dagli anni sessanta, in Mali, questo processo ha subito un’inversione di rotta. Grazie al successo avuto dalle cantanti, anche grazie alla radio e dunque al gradimento del pubblico, erano le griottes ad essere famose e riconosciute. Verso gli anni settanta alcune cantanti, come ad esempio Amy Koita[E1] e Taata Manbo, hanno formato delle orchestre e si sono prodotte in privato. In questo periodo è nata la figura dell’artista nel senso in cui lo si intende in Europa. I musicisti non griots, ed i griots stessi, non si limitavano più ad eseguire il proprio repertorio tradizionale. Lo arricchivano, lo stravolgevano, liberi dalle costrizioni del passato. Con il tempo sono nate le prime scuole dove poter conseguire studi musicali come ad esempio lo “Istituto nazionale delle arti di Bamako”. I giovani artisti cercavano di imporsi sulla scena artistica seguendo le orme dei grandi nomi della propria epoca, come Salif Keita,[F1] esempio calzante se si prende in considerazione il suo ceto sociale d’origine. Nato nel cuore del Mandé, figlio di una famiglia principesca, Salif Keita ha dovuto lottare con i propri genitori per potersi esibire su di un palcoscenico. E’ diventato una “star” internazionale, ed ora diffonde il repertorio del Mandé, riproponendolo in chiave moderna. Il passaggio dal concetto di griot al concetto di artista comprende anche un cambiamento di pubblico. Se nel passato, il pubblico che interessava ai griots era rappresentato dalle famiglie nobili che offrivano loro del sostentamento, a partire dagli anni sessanta i punti di riferimento dei griot e degli artisti in generale sono stati: il pubblico radiofonico ed il mondo dello spettacolo. Il primo ascolta e compra; il secondo permetteva, attraverso il finanziamento, la messa in scena di spettacoli o la registrazione di brani musicali. Le nuove produzioni si moltiplicavano, il “mercato” si allargava e come volte accade, questo ha provocato un peggioramento qualitativo della musica. Gli artisti, per soddisfare i loro nuovi committenti, usavano vecchie melodie cambiandone il tempo, la velocità e le parole. Brani storici che venivano impiegati solo in certe situazioni e solo all’indirizzo di qualche figura specifica, diventavano di pubblico dominio e venivano utilizzati in qualsiasi situazione. Un esempio eclatante è riportato da Mamadou Diawara. <> (trad: celebrate Baya La!). L’artista, come indica il titolo del suo brano, esalta Baya La, considerato come il migliore, il trionfatore, il prodigo, etc. Baya La, un fortunato commerciante di Bamako -jogorane( gruppo endogamo di etnia pulaar), e dunque non appartenente alla casta dei griot - viene elogiato al suono di Sandiya, tema melodico normalmente riservato ai soli griots.>> (Mamadou Diawara Cahiers d’Études africaines Année 1996, Volume 36, Numéro 144, p 602) In questo modo, i brani tradizionali venivano svuotati del loro significato storico e sociologico in quanto smarrivano progressivamente il proprio valore di narrazione della storia e, venendo utilizzati in qualsiasi situazione sociale, perdono anche l’intrinseco valore sociologico che avevano posseduto.

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