La globalizzazione dell'economia di Teresa Ferro

LE MULTINAZIONALI

Per larga parte dell’opinione pubblica le grandi imprese sono associate ad un’immagine di entità avide e spietate che antepongono il profitto a tutto il resto. Molti casi di malefatte aziendali sono tristemente famosi: la storia della Nestlè[IT1][IT2][IT3][IT4[[EN1][EN2][FR1][ES1] per convincere le madri del Terzo Mondo a nutrire i bambini con il latte artificiale anziché allattarli al seno; la cospirazione delle case produttrici di sigarette statunitensi che per cinquant’anni hanno cercato di convincere la gente che nessuna ricerca scientifica provava che fumare facesse male alla salute, malgrado lo confermassero le loro ricerche interne; la messa a punto da parte della Monsanto[IT1][EN1] di sementi che producevano piante che, a loro volta, producevano semi che non potevano essere ripiantati e obbligavano i contadini a ricomprarli ogni anno.

Per molte persone, le multinazionali ormai rappresentano tutto ciò che non va della globalizzazione. Queste aziende sono più ricche di tanti Paesi in via di sviluppo.

Nel 2005, il colosso commerciale americano Wal-Mart ha registrato entrate per 285,2 miliardi di dollari, più del PIL aggregato dell’Africa subsahariana.

Queste imprese non sono soltanto ricche ma anche potenti dal punto di vista politico. Se il governo decide di tassarle o di regolamentarne l’attività in un modo che risulta loro sgradito, esse minacciano di spostarsi altrove. C’è sempre un altro Paese pronto ad accogliere a braccia aperte il loro gettito di imposta , i posti di lavoro e gli investimenti esteri.

I grandi gruppi rincorrono il profitto[IT1][IT2][IT3][EN1][FR1], e questo significa che guadagnare è la loro priorità essenziale. Le aziende sopravvivono tenendo i costi il più possibile bassi, per quello che la legge consente. Quando possono, evitano di pagare le tasse[EN1][EN2][EN3][FR1][FR2][FR3]; alcune risparmiano sull’assicurazione sanitaria dei lavoratori, altre si astengono dal bonificare là dove hanno inquinato. E spesso il conto da pagare arriva al governo del Paese ospite.

Eppure, queste grandi imprese hanno portato i vantaggi della globalizzazione nei Paesi in via di sviluppo e contribuito ad innalzare il tenore di vita in gran parte del mondo. Hanno permesso alle merci dei Paesi in via di sviluppo di raggiungere i mercati industriali avanzati. Le corporation hanno trasferito le tecnologie dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo, aiutando questi ultimi a colmare lo scarto di conoscenze tra Nord e Sud del mondo. I grandi gruppi hanno creato posti di lavoro e crescita economica nelle nazioni in via di sviluppo e portato merci a buon prezzo, di qualità sempre crescente, nei paesi industrializzati, contribuendo così a ridurre il costo della vita e a contenere l’inflazione e i tassi di interesse[EN1][EN2][EN3].

Essendo al centro della globalizzazione, le grandi società possono essere incolpate di molti dei suoi mali, ma bisogna anche dare loro credito per molti dei suoi meriti. Non ha senso domandarsi se la globalizzazione sia positiva o negativa in sé, bensì occorre interrogarsi su come farla funzionare al meglio; e, cioè, cosa si può fare per ridurre al minimo i danni che le grandi imprese provocano e massimizzare il loro contributo alla società?

L’obiettivo di fondo è, in sostanza, far coincidere gli interessi dei privati con quelli della collettività.

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