Miti e leggende di Luca La Grotta (lucalagrotta@infinito.it), Matteo Leonardi (aleonardim@tiscalinet.it), Cristina Merchiori (severnaja@libero.it), Elisa Rossi (elisaros2006@libero.it), Claudia Scaglia (siscla@libero.it).

GLI ARGONAUTI

Gli Argonauti: un esempio di mito collettivo

Il noto mito degli Argonauti [I1] [E1] [F1] [F2] [F3] [F4] [S1] , oltre ad essere uno dei più famosi esempi di impresa eroica collettiva che si possano riscontrare nella mitologia greco-latina, è strettamente legato ad un preciso momento storico dello sviluppo della società greca: l'espansione sul mare. Raffigurando le gesta di coloro che tradizionalmente sono stati ritratti come i primi navigatori, essa richiama l'avventura di una nazione che si muove alla ricerca di nuovi spazi e di nuove ricchezze.
Il personaggio centrale del mito è Giasone [I1] [I2] [I3] [E1] [E2] [F1] , animatore della vicenda, ma non protagonista assoluto; gli attori sono ben cinquanta eroi [F1] reclutati in tutta l'Ellade allo scopo di prelevare nella remota regione della Colchide, sul Ponto Eusino (l'attuale Mar Nero) il vello d'oro [E1] , custodito da un feroce drago.

Nell'antefatto, così come nella storia in generale, non v'è nulla di propriamente originale: anche questa volta ci troviamo davanti ad un turpe usurpatore, Pelia, che occupava indebitamente il trono che era stato del fratello Esone [I1] , padre di Giasone. Il giovane eroe era cresciuto lontano dalla patria, protetto dal centauro Chirone [E1] [F1] e, fattosi ormai adulto, volle affrontare il perfido zio. Questi, come da copione, accettò di lasciargli il trono a patto che superasse una prova particolarmente impegnativa, il recupero del sacro vello.
I più valenti eroi della mitologia vi presero parte, servendosi di una nave, Argo, appositamente realizzata da un omonimo carpentiere usando tutti gli alberi che sorgevano sul monte Pelio, in Tessaglia. Nell'intricata vicenda ebbero la loro parte Ercole, i due Dioscuri [E1] , Castore e Polluce; Teseo, Peleo [E1] e Orfeo, solo per citarne alcuni tra i più noti.
Va notato che, nonostante la presenza di questa nutrita compagine di eroi, il compito di affrontare il terribile mostro e di conquistare il vello d'oro è lasciato al solo Giasone, dato che la seconda parte del racconto segna la completa uscita di scena, per differenti motivi, di tutti i suoi compagni di viaggio.

A prestar soccorso al nostro giunse uno dei più singolari personaggi che l'intera mitologia ci abbia mai proposto: Medea [E1] [F1] , appassionata e tragica figura femminile, bella sacerdotessa di Ecate ed esperta maga. Essa seppe rendere Giasone invulnerabile con le sue arti: l'eroe uccise il drago e superò tutte le prove alle quali fu sottoposto successivamente.
Tuttavia, la tenebrosa Medea iniziò proprio allora a dare prova della sua natura scellerata e sanguinaria: per consentire a lei ed al suo amato Giasone un'agevole fuga verso l'imbarcazione che li avrebbe condotti lontano dalla Colchide, bloccando il locale re, che non voleva comunque consentire all'eroe di portare con sé il prezioso vello, ella non fece altro che trucidare il suo giovanissimo fratello Absirto, gettandone le membra lacerate sulla strada e bloccando così gli inseguitori, più per l'orrore in essi suscitato che per la presenza di un effettivo ostacolo sul loro cammino.

Questo non fu che la prima di una lunga serie di efferatezze: essa convinse le figlie dell'usurpatore Pelia ad uccidere il padre, simulando un rito che avrebbe dovuto ringiovanirlo, liberando così definitivamente Giasone dalla sua ingombrante presenza.

La storia non finisce qui: il nostro eroe, proprio come Teseo prima di lui, ebbe l'infelice idea di comportarsi con grave ingratitudine nei confronti della donna che in più occasioni l'aveva salvato, abbandonandola e sposando una giovane fanciulla. L'atroce vendetta della sanguinaria maga non tardò ad arrivare ed a far sentire i suoi funesti effetti: in seguito ad un suo maleficio, tutti figli nati dal matrimonio tra Giasone e la sua giovanissima moglie Creusa [E1] (secondo altri, Glauce) morirono nel volgere di un breve lasso di tempo, lasciando l'eroe sempre più solo e sconsolato.

Una delle versioni della leggenda narra che Giasone morì sotto il peso della sua stessa nave Argo, sotto la quale era solito fermarsi, tirata in secca e ormai decrepita ed inservibile.

Comunque sia, si tratta di un'altra fine malinconica e silenziosa per un grande eroe reduce da imprese memorabili, paragonabile a quella di Bellerofonte: forse proprio in questo aspetto della loro esistenza gli eroi rivelano la loro natura umana. Terminate le prove di coraggio e le imprese sovrumane, sembra che diventi per loro impossibile trovare una collocazione sensata e costruttiva: le loro eccezionali doti fisiche non sembrano esser loro d'aiuto nella vita di tutti i giorni.

Molteplici sono stati nel corso dei secoli i riflessi sulla letteratura e sull'arte del mito di Giasone. Nell'Antichità furono ad esso dedicati monummentali poemi, come l'Argonautica dell'alessandrino Apollonio Rodo o quello, dal medesimo titolo, del latino Valerio Flacco. Ancora in età moderna l'avventura degli Argonauti seppe affascinare i poeti. Si veda, in piena età neoclassica, l'ode Al signor di Montgolfier di Vincenzo Monti, che paragona direttamente i primi uomini che si librarono in cielo grazie al pallone aerostatico ai mitici eroi che per primi solcarono le sterminate distese marine. In questa prospettiva, il contenuto dei miti è materia viva e dotata di un valore semantico suo proprio, rigorosamente codificato, tanto da apparire cristallizzato, ma ricontestualizzabile e riciclabile all'infinito a discrezione del poeta.

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