Traumatologia e Riabilitazione. Fondamenti e componenti del movimento umano di Maurizio Balla

Caratteristiche fondamentali dell'attività muscolare


L’attività del muscolo [I1] [E3] [E4] [E5] [E6] [F1] [F2] [F3] [F4] [F5] [F6] [M2] non consiste soltanto nel rendimento energetico connesso con un lavoro. Va considerato che, anche in situazioni che non richiedono apparentemente alcun lavoro muscolare i muscoli operano e non sono mai in completo riposo; non sarebbe possibile in caso contrario anche solo il mantenimento di una postura eretta, in piedi.
Si possono pertanto considerare due forme fondamentali di attività muscolare: la tensione propria o basale, cioè il tono del muscolo e il rendimento energetico del muscolo o mediante una sua contrazione oppure mediante un aumento di tono. Vi sono molti muscoli di sostegno che si contraggono senza modificare la propria lunghezza (contrazione isometrica), aumentando invece il proprio tono.
Contrazione isotonica è invece quella in cui si modifica la lunghezza, ma non il tono. Tutti i muscoli a riposo denunciano una capacità di opporsi ad una distensione, tale caratteristica viene definita tono.

Il tono contrattile dei muscoli scheletrici viene regolato dai fusi neuromuscolari e neurotendinei, che sono dunque dei misuratori della tensione del muscolo e delle sue modificazioni. Per entrambi le informazioni ricevute vengono inviate al centro regolatore del movimento, posto nelle cellule del midollo spinale.
Il tono mette ogni singolo muscolo in grado di contrarsi immediatamente, qualunque sia la posizione ed il grado di distensione in cui si trova; il muscolo può eseguire dunque immediatamente un lavoro senza alcun funzionamento a vuoto. Per quanto riguarda l’efficienza lavorativa, anche il più piccolo muscolo può contrarsi se riceve uno stimolo sufficientemente intenso. Se prima dello stimolo il muscolo era disteso, esso sviluppa da tale posizione un notevole effetto dinamico. Ciò presuppone che il muscolo possieda una eccezionale elasticità, che lo protegga da lesioni in caso di carichi eccessivi.
Tale elasticità si riduce man mano che aumenta l’affaticamento. A ciò va attribuito il fatto che le più frequenti lacerazioni delle fibre muscolari avvengono in condizioni di stanchezza oppure a freddo. Il tratto in cui i due capi terminali di un muscolo si avvicinano esprime l’ampiezza del movimento. Esso è tanto maggiore quanto più lunghi risultano sia il muscolo che il braccio della leva su cui agisce il muscolo stesso. Lo sviluppo di energia da parte di un muscolo dipende dal suo spessore.
Quindi, mentre la lunghezza delle fibre è responsabile dell’entità dell’ampiezza di movimento, lo spessore e l’angolo di inserzione delle fibre ne determinano la potenza.

Per quanto riguarda l’azione muscolare si distingue una azione rotatoria ed una azione lineare. L’azione rotatoria determina un movimento di due segmenti scheletrici a livello della giuntura, mentre con l’azione lineare le due ossa che si mettono in articolazione vengono pressate l’una contro l’altra. Quest’ultima azione è necessaria nei confronti delle sollecitazioni di trazione. Nel caso in cui si abbia una posizione articolare ad angolo estremo acuto il muscolo (flessore) che si trova nell’angolo è in grado di esercitare una trazione sull’articolazione. Se le ossa che formano una articolazione e i muscoli che tale articolazione ricoprono sono disposti ad angolo retto, allora si ha la massima azione rotatoria del muscolo e per contro la minima azione lineare.

Il lavoro del muscolo scheletrico viene suddiviso in: dinamico (isotonico), statico (isometrico) e negativo (eccentrico). Per quanto riguarda il lavoro dinamico i due capi del muscolo vengono ravvicinati mediante la contrazione, pur rimanendo immutato il tono, o nuovamente allontanati per rilasciamento (e lavoro degli antagonisti).
Si tratta di un lavoro in senso fisico come, ad esempio, avviene nel sollevamento di un peso. Per quanto riguarda l’attività statica, è inutile cercare un effetto visibile, visto che il muscolo, in questo caso, non modifica la propria lunghezza; il mantenere un peso con le braccia tese in avanti o in alto corrisponde a questa forma di lavoro statico, in cui il muscolo va incontro ad un notevole aumento del proprio tono. Per terminare, il posare lentamente il pesante manubrio viene definito lavoro negativo, dovendo la muscolatura esercitare una azione frenante.

A seconda della loro attività predominante i muscoli vengono suddivisi nei seguenti gruppi:
1) flessori - estensori
2) adduttori - abduttori
3) pronatori - supinatori
4) costrittori - dilatatori


Ogni muscolo esercita una duplice attività: esso, infatti, non agisce solamente sull’articolazione con cui è in rapporto, ma può anche determinare movimenti sulle due articolazioni contigue, in quanto tende ad influenzare entrambi gli arti. Il muscolo flessore dell’articolazione del gomito, ad esempio, determina anche movimenti nell’articolazione della spalla e del polso.
Pertanto, la definizione “flessore dell’avambraccio”, pur esprimendo quella che è la principale funzione, non è del tutto corretta, o almeno non esauriente; la definizione della funzione del muscolo portato ad esempio risulta esatta, solo nel caso in cu l’articolazione della spalla e quella del polso siano fissate da altri muscoli. Se già un movimento così semplice, quale la flessione dell’avambraccio nell’articolazione del gomito, richiede l’azione congiunta di numerosi muscoli (fra l’altro per la fissazione dell’articolazione della spalla, della scapola, ecc.), non sorprende il fatto che, durante l’analisi dei movimenti dell’intero corpo ci si trova di fronte a combinazioni muscolari estremamente più complesse.

Bisogna inoltre sottolineare che in molti casi uno stesso muscolo è in grado di svolgere funzioni diverse, ad esempio rotazione e flessione, come avviene per il pronatore rotondo, che da un lato ruota il radio attorno all’ulna e dall’altro flette l’avambraccio a livello dell’articolazione del gomito.
Per quanto riguarda invece, i gradi muscoli piatti, ad esempio il gluteo, il deltoide, il trapezio, le parti anteriore o superiore svolgono spesso funzioni del tutto diverse dalle parti posteriori o inferiori. Da ciò si rileva che la definizione della funzione di un muscolo, analogamente a quanto si è visto per i termini origine e inserzione, ha sempre un valore relativo.

I muscoli che eseguono uno stesso lavoro vengono definiti sinergici o agonisti; quelli che invece si oppongono all’attività di altri muscoli sono detti antagonisti. Il bicipite per la flessione dell’avambraccio sul braccio è agonista, mentre il tricipite del braccio per lo stesso movimento è antagonista.
Non esiste, peraltro, un antagonista reale; grazie al lavoro non solo degli agonisti, ma anche degli antagonisti è possibile lo svolgimento di un atto motorio ben coordinato. L’attività degli antagonisti va intesa come una regolatrice dei movimenti dovuti alla contrazione dei soli agonisti, che altrimenti sarebbero intermittenti e improvvisi. Va qui ricordato che i muscoli agonisti per un determinato movimento, possono essere invece antagonisti per un altro.
Nei muscoli piatti (trapezio, deltoide), diverse porzioni di uno stesso muscolo possono svolgere funzioni opposte. Da ciò si deduce che anche i termini agonista ed antagonista non hanno valore assoluto.


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