Platone: La Repubblica, tra progetto e utopia di Giada Leonardi (giadaleonardi@yahoo.it) e Laura De Cantis (l.decantis@libero.it)

TEMATICHE DI APPROFONDIMENTO: LE TAPPE DELL'EDUCAZIONE

I bambini vengono prelevati dalle famiglie e affidati a delle nutrici per i primi due anni; una volta svezzati iniziava la prima fase dell’ educazione [I1] [I2] [E1] [F1] [Es1] [Es2] [Es3] costituita dall’ascolto della musica e dalla lettura di fiabe (opportunamente censurate in modo che non potessero far nascere nei bambini rappresentazioni fuorvianti della realtà).
Con i sette anni inizia il percorso educativo vero e proprio, la cui prima fase continuerà fino ai diciotto anni. In questo periodo studieranno musica (che raggruppa “tutte le arti collegate alle Muse”, cioè musica strumentale, canto, declamazione, poesia) e ginnastica. La ginnastica deve mirare innanzitutto alla salute e deve, inoltre, servire allo sviluppo di specifici atteggiamenti morali, quali la temperanza e l’equilibrio.
Dai diciotto ai vent’anni Platone inserì due anni di formazione militare (efebìa) volta a fortificare il corpo e il carattere. Molti degli studenti si fermavano a questo livello, diventando soldati, mentre pochi altri proseguivano il loro iter formativo per raggiungere le più alte vette del dominio della ragione.
Dai venti ai trent’anni questi giovani eletti si dedicavano allo studio della disciplina formale (concetto inventato da Platone secondo il quale per studiare i concetti legati al mondo delle idee – come ad esempio matematica (arte del calcolo), geometria (scienza degli enti immutabili), astronomia (scienza del movimento ordinato e perfetto, cioè dei cieli) – occorre prescindere dal mondo materiale e studiare i concetti astratti che stanno alla base di queste discipline) dedicandosi prevalentemente allo studio della matematica intesa come sistemazione razionale del vero. L’aritmetica, però, secondo Platone, non deve essere appresa né come facevano i mercanti nè alla maniera dei pitagorici, che attraverso questa cercavano di quantizzare gli aspetti del mondo fisico; essa, al contrario, è la scienza che va al di là del mondo sensibile (e, dunque, dell’opinione e del mutamento) indirizzando la mente dell’uomo verso le idee stabili e vere dato che aiuta “l’anima stessa a volgersi dal mondo della generazione alla verità e all’essere”(La Repubblica,libro VII,525c); il suo fine ultimo, in definitiva, è quello di far acquisire al futuro governante la prontezza in tutte le altre discipline.
I “reduci” proseguivano gli studi dedicando gli anni tra i trenta e i trentacinque allo studio e all’applicazione della dialettica o scienza delle idee (discussione e contemplazione della verità razionale pura). La dialettica nella dimensione platonica è la suprema scienza delle idee, assimilabile alla filosofia stessa; è la ricerca della verità nel dialogo, in contrapposizione all’eristica, secondo la quale è possibile far trionfare anche una tesi non vera). La pratica della dialettica, quindi, consentirà al futuro governante di avere nella sua anima il massimo paradigma, l’idea del Bene.
Seguivano circa quindici anni di tirocinio svolto partecipando più o meno attivamente alla vita sociale della polis.
Raggiunta la soglia dei cinquant’anni lo “studente” poteva dire di aver completato il suo processo formativo. I “veri filosofi” saranno, dunque, coloro che non avranno come massima aspirazione l’attività politica. Tale attività viene da loro, infatti, sentita come un “obbligo” (Platone, La Repubblica, libro VII, 529e) preferendo di gran lunga dedicarsi alla pura attività del pensare; ma è proprio ciò che garantisce in senso assoluto la giustizia e l’affermazione del bene comune e, soprattutto, riesce a portare avanti la visione sublime di una attività politica totalmente disinteressata e, quindi, lontana dalla corruzione e dal perseguimento del proprio utile.

ESERCIZI:

1) Quale è il fine dell'educazione, secondo Platone?

2) Che importanza dà Platone allo studio della matematica?

3) I bambini della città perfetta potranno ascoltare il racconto delle fiabe?

4) Perchè i filosofi sentiranno come un "obbligo" l'attività politica?

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Edurete.org Roberto Trinchero