Aspetti di civiltà latina nell'opera del poeta Marziale di Cristina Venturino

EPIGRAMMA X, 10, IL CONSOLE CLIENTE: CLIENTI E PATRONI; LE PIÙ IMPORTANTI MAGISTRATURE ROMANE

Il protagonista dell’epigramma (il 10° del 10° libro) è Paolo, un personaggio nobile che si comporta però come il più adulatore dei clienti, con proprio disonore e sottraendo spazio a "colleghi" più umili e bisognosi.

Cum tu, laurigeris annum qui fascibus intras, / mane salutator limina mille teras, / hic ego quid faciam? Quid nobis, Paule, relinquis, / qui de plebe Numae densaque turba sumus? / Qui me respiciet, dominum regemque vocabo? / Hoc tu — sed quanto blandius! — ipse facis. / Lecticam sellamve sequar? Nec ferre recusas, / per medium pugnas et prior ire lutum. / Saepius adsurgam recitanti carmina? Tu stas / et pariter geminas tendis in ora manus. / Quid faciet pauper, cui non licet esse clienti? / Dimisit nostras purpura vestra togas. Siccome tu, che inizi l’anno con i fasci ornati d’alloro, di mattina, per la visita di saluto, consumi mille soglie, ora io che farò? Che cosa lasci, Paolo, a noi, che siamo della plebe di Numa e della fitta folla? Chiamerò padrone e signore chi mi degnerà di uno sguardo? Questo lo fai tu stesso – ma con quante lusinghe in più! -. Seguirò una lettiga o una portantina? Ma tu non rifiuti di portarla, e fai di tutto per andare per primo in mezzo al fango. Mi alzerò più spesso davanti ad uno che legge poesie? Ma tu stai in piedi e tendi insieme entrambe le mani verso il suo volto. Che farà un povero, a cui non è permesso di essere un cliente? La vostra porpora ha soppiantato le nostre toghe. [F1]

Clienti, "cliente": l’istituto della clientela [E1] [Es1] , nato sicuramente già in età monarchica, rimane di origine incerta. Cliente è un termine di etimologia discussa che designava, a Roma, una categoria di persone legata da particolari vincoli giuridici e morali ad altre persone, i patroni (ovvero i ricchi protettori), secondo un rapporto di subordinazione comportante obblighi in cambio di protezione: il cliente, infatti, era tenuto a militare in guerra sotto il comando del patrono, a votare per lui (soprattutto in età repubblicana, nei periodi di aspre lotte politiche, le prestazioni dei clientes divennero prevalentemente di natura politica, nel senso che essi erano un sostegno attivo nelle competizioni politiche), a scortarlo nelle sue apparizioni in pubblico. Il patrono, da parte sua, si faceva intermediario tra il cliente e le istituzioni statali, assicurandogli assistenza legale in tribunale, garantendone i debiti, intervenendo in suo favore sotto il profilo economico: tipica in questo senso era la sportula, una sovvenzione alimentare (ovvero un cestino contenente vettovaglie) o in denaro.

L’istituto andò, in età imperiale, gravemente deteriorandosi: i clienti si trovarono progressivamente ridotti al rango di parassiti (ovvero scrocconi), legati da un rapporto di umiliante dipendenza a signori che amavano soprattutto esibire il proprio fasto (il poter contare su un folto gruppo di clienti accresceva il loro prestigio).

Salutator , "come salutatore", "per la visita di saluto": si fa riferimento al rito della salutatio, per cui i clienti erano costretti ad alzarsi presto, talvolta anche a notte fonda, per andare a salutare, nell’atrio delle loro case, un patrono o più patroni, che potevano abitare anche molto lontano, e per ritirare la sportula.

Laurigeris fascis, "con i fasci ornati d’alloro": i consoli [I1] [E1] [F1] [F2] [Es1] erano i più importanti magistrati romani, detentori del supremo potere militare e civile, almeno per tutta l'epoca repubblicana, poiché in età imperiale persero progressivamente il loro potere, finendo per diventare una carica puramente onorifica. Essi entravano in carica il 1° di gennaio (per questo qui si dice che Paolo inizia l’anno), davano il nome all’anno e venivano accompagnati dai littori, subalterni al loro servizio, che li precedevano e assistevano recando sulla spalla sinistra i fasci di verghe ornati di alloro con al centro una scure, simbolo del potere di coercizione (che si esplicava con la pena della fustigazione e con quella della decapitazione). Oltre ai consoli, i principali magistrati romani erano i questori, che si occupavano soprattutto della gestione del tesoro pubblico, gli edili, preposti alle costruzioni pubbliche, ai mercati, al traffico, ai commerci, all'allestimento di giochi e spettacoli, i pretori, che avevano funzioni militari e amministrative, i censori, che effettuavano il censimento della popolazione ed esercitavano una funzione di controllo sulla finanza e sui costumi.

Numae, "di Numa": è il secondo re di Roma, noto per la sua saggezza.

Dominum, regem, "padrone", "signore": si fa riferimento al saluto servile, secondo la formula fissa dominus et rex (appellativi con cui i superbi patroni amavano farsi apostrofare).

Lectica, sella, "lettiga", "portantina": qui si fa riferimento all’incombenza del fare da scorta al patrono, eventualmente reggendo appunto la sua lettiga o la sua portantina (nella lectica si stava coricati, sulla sella, ovvero una sedia che si poteva trasportare, appunto seduti).

Per medium … lutum, "in mezzo ... al fango": i clienti più adulatori erano disposti ad andare anche in mezzo al fango (nelle case non esistevano ancora i gabinetti, dunque i liquami venivano scaricati nelle strade e poi convogliati nelle fogne mediante canali di scolo a cielo aperto).

Tu stas et pariter geminas tendis in ora manus, "Ma tu stai in piedi e tendi insieme entrambe le mani verso il suo volto": i clienti dovevano anche essere disposti a fare la claque ad una lettura pubblica, durante la quale erano costretti ad esprimere il loro entusiasmo per i versi del patrono alzandosi per applaudire e mandandogli baci.

Dimisit nostras purpura vestra togas, "La vostra porpora ha soppiantato le nostre toghe": Marziale vuole dire che i magistrati (cui si fa riferimento con il termine purpura, che indica appunto la striscia di porpora ornante la loro toga) hanno soppiantato la plebe (alla quale ci si riferisce tramite l’indicazione della veste per eccellenza del cittadino romano, la toga): il poeta ribadisce in tal modo che i magistrati come questo console si sono sostituiti nell’attività di clienti ai plebei, ai quali solitamente competeva e tramite la quale potevano sopravvivere. Che anche i ricchi avessero come patroni altri personaggi più potenti di loro era normale, ma che un console, come Paolo, si abbassasse alle pratiche più adulatorie, era paradossale e comico (e questo anche se, ormai, in età imperiale, quella che era stata la massima carica durante la repubblica, il consolato, era diventata, come si è detto, puramente onorifica).

Esercizi

  1. Chi erano, a Roma, i clienti? Quali erano i loro doveri nei confronti dei protettori? Cosa ne pensi degli individui che si comportavano in questo modo?
  2. Esistono ancora, secondo te, i clienti? Motiva la tua risposta.
  3. Quali erano, presso i Romani, le più importanti magistrature? E quali sono quelle del paese in cui vivi?

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Edurete.org Roberto Trinchero