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Keplero - Astronomia nova

Keplero - Astronomia nova

Nell’Astonomia nova EN1 FR1 Keplero dà conto dei settanta tentativi che ha compiuto per far rientrare i dati ottenuti da Tycho relativamente ai moti di Marte nelle varie combinazioni di circoli ricavabili dall’astronomia tolemaica e da quella copernicana. Il disaccordo fra le previsioni e le osservazioni di Tycho era solo di 8 minutio di grado. Questo risultato sarebbe stato accettabile a tutti gli astronomi dell’epoca. Keplero scartò tutte le soluzioni e, disperando di giungere a una soluzione accettabile, passò a calcolare l’orbita della Terra. La velocità di quest’ultima è maggiore quando essa si avvicina al Sole, minore quando si allontana da esso. Sulla base di una premessa errata (la velocità della Terra è inversamente proporzionale alla sua distanza dal Sole) ed effettuando calcoli che contenevano non trascurabili errori, Keplero giunge a formulare quel risultato che ci è oggi noto come seconda legge di Keplero: in tempi uguali, la linea che congiunge con il Sole il pianeta spazza aree uguali. A differenza di quanto aveva sostenuto l’astronomia antica a .o stesso Copernico, la Terra e gli altri pianeti si muovono di un moto realmente e non solo apparentemente non uniforme.

Per Keplero, in questo aristotelico, solo l’applicazione di una forza consente di spiegare la persistenza del moto. Keplero non conosce il principio d’inerzia né ha la nozione di forza centripeta. La forza che emana dal Sole non esercita una attrazione centrale: serve a promuovere il moto dei pianeti e a mantenerli in movimento. Keplero non attribuisce rotazione alla Luna. Ma il Sole, corpo centrale dell’universo, deve ruotare sul proprio asse e trascinare con sé l’intero corpo del mondo. Rompendo una millenaria tradizione, Keplero afferma che l’orbita di Marte non è un cerchio. Solo un’ellisse perfetta, con il Sole uno dei due fuochi è in accordo con i dati dell’osservazione e con la legge delle aree. Questa sua conclusione ci è nota come la prima legge di Keplero. Una curva conica è sufficiente a descrivere l’orbita di ogni pianeta. L’abbandono degli eccentrici e degli epicicli, la semplificazione del sistema era ottenuta attraverso l’abbandono del dogma della circolarità. Nel momento stesso in cui Keplero “perfezionava” il sistema copernicano, lo distruggeva.

I vari libri della summa-manuale o Epitome astronomie copernicanae usitata forma quaestionum et respèonsionum conscripta furono pubblicati fra il 1617 e il 1621 e Harmonices mundi libri quinque vide la luce a Linz nel 1619.

Ai rapporti geometrici teorizzati nel Mysterium devono affiancarsi – dato che Dio non è solo geometria, ma anche musico - dei rapporti armonici. Keplero trova modo di associare ad ogni pianeta un tono o intervallo musicale. Come risulta dall’indice del quinto libro, i singoli toni o modi musicali sono espressi dai singoli pianeti; i contrappunti o armonie universali dei pianeti sono diversi l’uno dall’altro; nei pianeti sono espressi quattro tipi di voci: soprano, contralto, tenore, basso. Nel terzo capitolo dello stesso libro, accanto a una riesposizione della tesi centrale del Mysterium si trova anche una nuova teoria: “E’ un fatto assolutamente certo ed esatto che la proporzione tra i tempi periodici di due pianeti scelti a piacere è esattamente come la potenza di tre mezzi della proporzione tra le loro distanze medie, e cioè fra le loro stesse orbite”. E’ l’enuniazione di quella che chiamiamo la terza legge di Keplero: i quadrati dei tempi di rivoluzione di qualunque coppia di pianeti sono proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole. Una volta stabilita l’orbita è necessariamente stabilita la velocità e viceversa. Era stata scoperta una legge che non si limitava a regolare i moti dei pianeti nelle loro singole orbite: essa stabiliva una relazione tra le velocità dei pianeti che si muovono in orbite differenti. La scoperta della cosiddetta terza legge si configura agli occhi di Keplero come una grande scoperta metafisica. Quelle tre leggi attraverso le quali il nome di Keplero compare ancora oggi nei manuali di fisica, emergono da un contesto che – prendendo come punti di riferimento Descartes o Galilei – è davvero difficile qualificare come “moderno”.

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Edurete.org Roberto Trinchero