La nascita dei fascismi in Italia e Germania di Daniela Raimondo (raimondopatrucco@libero.it), Valter Balzola (), Rossana Denicolai ()

UGUAGLIANZE E DIFFERENZE TRA I DUE REGIMI

E’ fuor di ogni dubbio che il nazismo degli esordi vide nel fascismo un fulgido modello da seguire, a cominciare dall’adozione di una strategia politica parallela, rivoluzionaria e al contempo legalitaria.

Ad esclusione della sinistra, il terrore esercitato dal governo fascista fu per lo più ignorato dai tedeschi, che vedevano l’Italia come un paese politicamente stabile ed economicamente promettente, guidato da un leader carismatico, capace di suscitare l’entusiasmo della destra ultraconservatrice e dei veterani per il suo nazionalismo, di imprenditori ed industriali per il suo modello di stato corporativo (di fatto “desindacalizzato”), delle organizzazioni cattoliche, colpite positivamente dai Patti Lateranensi, persino dei conservatori “democratici” come ad esempio il giornalista Emil Ludwig che non poteva certamente apprezzare il nazismo a causa del suo antisemitismo.

Per Hitler, quindi, richiamarsi a Mussolini, poteva essere utile per presentarsi più credibile nel perseguire la sua partecipazione al potere in Germania, e rendersi più accettabile anche tra ceti moderati. “Ci si illudeva che Hitler, come Mussolini, avrebbe potuto venir controllato dall’esercito e dalla burocrazia. L’anziano presidente del Reich, Hindenburg, fu visto in modo non diverso dalla figura di Vittorio Emanuele III, come il garante di un regime autoritario del genere.”

Hitler, da parte sua, non si accontentò di instaurare un governo autoritario sul modello italiano, ma trasformò la sua dittatura in un regime compiutamente totalitario; dal processo di eliminazione di partiti ed istituzioni democratiche, immediatamente iniziato dopo la presa del potere, passò poi ad assumere la carica di Presidente del Reich, alla morte di Hindenburg, asservì e neutralizzò i grandi potentati economici e completò l’opera nel ’38, con l’assoggettamento dei comandi della Wermacht e del ministero degli Esteri:

“a partire da quel punto, il regime fascista hitleriano assunse un carattere totalitario quale il fascismo italiano non conobbe mai. La trasformazione del regime dittatoriale in un sistema totalitario fu conditio sine qua non per lo scatenamento della seconda guerra mondiale e per l’organizzazione dello sterminio di massa degli ebrei europei da parte dei nazionalsocialisti. Il fascismo italiano non mostrò mai simili tendenze. In questo i regimi fascista e nazionalsocialista rivelarono profonde differenze.”

E’ proprio nel suo “tono minore” che fascismo si distingue dall’esperienza nazista: tono minore nell’occupare i gangli di potere dello Stato, nel fascistizzare la società, nel controllare le donne, nel perseguitare gli ebrei. Il nazismo permeò di sé in modo totale il paese ed il consenso raggiunto tra i tedeschi toccò vette impensabili per Mussolini e i suoi.

Paradossalmente, il fatto di operare in uno stato molto più moderno favorì Hitler nel suo sforzo di sottometterlo totalmente. Solo per fare un esempio, nel 1939 i tedeschi avevano acquistato oltre dieci milioni di radio (in Italia ce n’erano meno di un decimo), e sappiamo con quale efficacia la propaganda nazista sfruttò questa “novità tecnologica”. D’altra parte in Germania non si trovavano sacche di analfabetismo, indifferenza ed arretratezza endemica, come nel nostro Sud; i cittadini tedeschi partecipavano mediamente ad una vita culturale più vivace, ma, in tal modo, risultavano maggiormente permeabili alle influenze dei cantori del regime.

Pur avendo imposto un ordine di natura autoritaria, il fascismo non ebbe mai la forza per esautorare completamente gli altri due attori tradizionali del potere e questo servì, in un certo senso, a mitigarne la durezza; Mussolini fu costretto a riconoscere una certa autonomia alla Corona ed alla Chiesa (con la quale firmò nel ’29 i "Patti Lateranensi", ottenendo in cambio il suo appoggio).

Tuttavia, come abbiamo già detto, sono molti gli aspetti che i due regimi ebbero in comune e che li rendono comunque “simili”: la centralità dello Stato basato sul partito unico; il ripudio del parlamentarismo; la dittatura del leader del partito ed il suo “fascino” sulle masse che veniva accentuato dalle adunanze oceaniche dalle coreografie perfette; la stampa, la radio, i moderni mezzi di comunicazione tutti attentamente controllati da appositi organismi o da potenti personaggi, come Goebbles, ministro della propaganda del Reich tedesco, e consapevolmente manipolati per ottenere quel consenso indispensabile ai due regimi per sopravvivere.

Entrambe le dottrine si identificavano nella lotta contro i nemici interni ed esterni: i nazisti bruciavano nelle piazze i libri “decadenti” della modernità e, come i fascisti, esaltavano la forza militare, l’onore e l’obbedienza al leader. Il regime usava additare al popolo un nemico, secondo il meccanismo psicologico del “capro espiatorio” (Salvatore Lupo, “fascismo e nazismo” in Storia contemporanea, Donzelli 1997), allo scopo di unire il popolo contro un presunto complotto (tecnica che da allora, per altro, è stata piuttosto ben collaudata in svariate altre occasioni decisamente più “moderne” o, addirittura, “contemporanee”).

Il nemico, per i fascisti, era rappresentato dalle potenze demo-plutocratiche europee (e dalla Società delle Nazioni) che volevano privare l’Italia “proletaria” del suo diritto al proprio “posto al sole”; assai più radicale era l’idea di Hitler del complotto ebraico, tendente ad impedire ai tedeschi di conquistare il loro “spazio vitale”, e certamente più tragica la sua “reazione “, con le persecuzioni, le stragi e i sei milioni di morti della Shoa.

La “Nazione” per l’uno e la “Razza” per l’altro furono i miti fondanti dei due regimi, che tentarono – con esiti diversi – di farne una sorta di religione laica ed uno strumento per condizionare le masse. Secondo Mosse

“il nuovo stile politico si guadagnò il consenso popolare proprio perché le preferenze e i desideri del popolo coincidevano in così gran parte con quelli del regime. Gustave Le Bon aveva messo in evidenza che se si vuole comandare con successo si devono condividere i miti del popolo in maniera genuina: sia Hitler che Mussolini furono suoi allievi. Sappiamo che in Germania i salari reali diminuirono, e che gli operai e i contadini italiani non ebbero un vantaggio materiale dal loro regime fascista. Ma sembrerebbe che per molti di loro questa circostanza fosse meno importante della conquista di status […] Hitler e Mussolini sapevano che quello che importava era il modo in cui il popolo avrebbe percepito la sua posizione: il mito è sempre un persuasore più efficace di una giudiziosa analisi della realtà. Inoltre, la storia la fanno gli uomini e non soltanto le forze materiali: la fanno non soltanto lo stesso leader, ma anche le simpatie e le antipatie, i desideri e le intuizioni dei seguaci.”

Si può o meno concordare sulla tesi dello storico tedesco, ma è indubbio che la capacità di manipolare le masse, utilizzando i più moderni mezzi di comunicazione, è diventata un fattore sempre più rilevante nel gioco politico moderno, e conoscere la storia può fornire gli strumenti per esserne consapevoli. Può essere interessante, infine, leggere una pagina significativa tratta da “L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste” che ben conclude questo nostro percorso:

“Tra il consenso in Italia e quello in Germania ci fu differenza, anche se il modo di affrontare la politica da parte dei due dittatori e il risalto che essi diedero ai miti che formano la visione del mondo furono simili […] Il fascismo fu dappertutto un “atteggiamento verso la vita”, fondato su una mistica nazionale [e] riuscì a creare un consenso perché si appropriò di desideri e aspirazioni che avevano caratterizzato diversi movimenti politici ed intellettuali del secolo precedente. Come una specie di organismo saprofago, il fascismo raccolse con il mestolo brandelli di romanticismo, di liberalismo, di nuova tecnologia e perfino di socialismo […] Ma su tutto ciò esso distese il manto di una comunità che si pensava condividesse un passato, un presente e un futuro di carattere nazionale: una comunità che non fosse imposta, bensì “naturale”, genuina”, con una forza organica sua e una vita sua, paragonabile a quella della natura […] L’appoggio al fascismo non si formò attraverso un semplice appello alle persone che godevano di privilegi economici e politici. I fattori sociali ed economici si rivelarono certamente decisivi […] e i successi sociali ed economici diedero corpo alle teorie fasciste. Ma – e questo sembra ugualmente decisivo – le scelte politiche sono determinate dall’effettiva percezione che il popolo ha della sua situazione, delle sue speranze e aspirazioni, dell’utopia per la quale si batte […] Alla fine il sogno fascista si trasformò in un incubo [ma] quegli ideali di politica di massa su cui il fascismo costruì il suo stile politico sono vivissimi, pronti ad assorbire e sfruttare i miti idonei. Il pericolo di un qualche tipo di autoritarismo è sempre presente, quantunque mutato rispetto alle forme iniziali o alle sue manifestazioni attuali nel mondo. Possiamo fare congetture in merito all’avvenire solo se disponiamo di un’accurata analisi del passato.”

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