A partire dagli anni '80, si è registrata una sempre maggiore convergenza tra tutti gli stati dell'Europa occidentale sulle politiche in materia di immigrazione elaborando un modello denominato di "negoziazione permanente". Esso contempla revisioni periodiche che permettono un adeguamento dell'impianto giuridico alle diverse necessità dell'Unione e agli sviluppi politici.
La legislazione europea negli anni '90 è caratterizzata dalla necessità di disciplinare le richieste di asilo. Tale regolamentazione è definita dalla Convenzione di Dublino, alla quale potevano aderire i soli stati membri dell'Unione europea; è stata firmata nel 1990 ed è entrata in vigore nel 1997, nel rispetto della comune tradizione umanitaria come già previsto dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951.
Una svolta nel processo di coordinamento delle politiche di immigrazione a livello europeo, si è verificata con il Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio 1999, che ha generato importanti modifiche e novità in materia di visti, asilo e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone. L'obiettivo è stato quello di realizzare una vera e propria politica comune nel settore, generando spazi di libertà, giustizia e sicurezza. Questi principi sono stati inseriti nel corpo di norme che regolano le politiche comunitarie costituendo il "primo pilastro" dell'Unione Europea. Attraverso il Trattato di Schengen allegato al Trattato di Amsterdam , sono stati posti i fondamenti per il suo sviluppo all'interno del quadro giuridico e istituzionale dell'Unione finalizzato a combattere il razzismo e la discriminazione.
L'obiettivo della legislazione comunitaria non è quello di sostituirsi alle normative nazionali di settore, ma si limita a fissare le linee guida che ogni singolo stato membro deve inderogabilmente seguire nell'attuazione dei propri interventi, costituendo riferimento valido per la ricostruzione dell'azione comunitaria in tema d'immigrazione.
