Introduzione
Inclusione ed apertura sono caratteristiche che hanno contraddistinto Internet fin dalla nascita, e che hanno alimentato il mito della rete democratica ed egualitaria, in grado di colmare le distanze geografiche e sociali tra le persone.
Mai una nuova tecnologia era riuscita a connettere ed avvicinare gli angoli più remoti della Terra, consentendo di accedere all'informazione a costi limitati e indipendentemente dalla localizzazione dei dati.
In particolare, l'aspettativa forte riguardava il potenziale democratico delle ICT, la loro tendenza all'inclusione e alla partecipazione che facevano presagire la riduzione della distanza che separa paesi ricchi e nazioni sottosviluppate e il ridimensionamento dell'egemonia economica e culturale degli Stati Uniti.
Ma la vocazione democratica di Internet è rimasta tale. La diffusione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, anzi, sta aumentando la complessità della situazione geo - politica mondiale, e sta ridisegnando le mappe di povertà e ricchezza, esasperando il divario già esistente tra Nord e Sud del mondo.
Meno del 6% della popolazione mondiale è connesso alla Rete, quasi esclusivamente dai paesi industrializzati dove si trova l'88% degli accessi. Il 57% degli utenti di Internet risiede nelle aree metropolitane di Stati Uniti e Canada, mentre meno dell'1% si connette dall'Africa e dal Medio Oriente.
Definizione
La possibilità o meno di accedere alle nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione determina differenze rilevanti tra individui, famiglie e nazioni, disparità che si ripercuotono sulla qualità della vita e sulle opportunità professionali e culturali e che vanno ad amplificare sul piano tecnologico i tradizionali meccanismi di stratificazione sociale. Questa frattura viene indicata con l'espressione "divario digitale".
Generalmente, con la locuzione divario digitale ci si riferisce al gap che separa la minoranza dei privilegiati connessi ad Internet dalla grande maggioranza della popolazione mondiale che non può ancora accedere alle infrastrutture di comunicazione basilari. In realtà, i ricercatori hanno riscontrato, anche tra i connessi, delle sostanziali disparità determinate dal differente grado di padronanza del mezzo e di libertà d'azione che caratterizzano gruppi sociali e utilizzatori di diversa provenienza.
Il reddito nazionale è fortemente correlato con la diffusione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione ed è il tratto che distingue i paesi industrializzati, con un'alta percentuale di cittadini connessi alla rete, da quelli in via di sviluppo, ancora pressoché esclusi dalla cybercultura.
Il processo di digitalizzazione è ancora privo di senso per oltre la metà della popolazione mondiale che non ha l'energia elettrica e che non ha mai fatto una telefonata. Esistono più linee telefoniche a Manhattan che in tutti i paesi dell'Africa Sub-Sahariana. Negli Stati Uniti ci sono 35 computer ogni cento abitanti, in Ghana ce n'è uno ogni mille persone. Oggi nel mondo ci sono più di 6 miliardi di abitanti. Quasi la metà di essi vive con meno di 2 dollari al giorno. Un miliardo e mezzo di persone non ha l'acqua, un miliardo sono i disoccupati e i sottoccupati, 125 milioni i ragazzi che non vanno a scuola. Da solo, il 10% ricco del pianeta consuma il 70% delle risorse, ovunque è in atto un inasprimento delle divisioni sociali. Dal rapporto del Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) del 1999, è emerso che le tre persone più ricche della terra possiedono, insieme, un patrimonio più consistente della produzione annuale dei 48 paesi più poveri del mondo.
E' evidente, quindi, che per oltre la metà degli abitanti del pianeta, l'accesso ad Internet rappresenta soltanto l'ultima tappa di un processo di sviluppo che dovrebbe prima risolvere problemi più impellenti.
La rincorsa di Europa e Asia e l'immobilismo dell'Africa
L'Europa, dopo gli Stati Uniti, è l'area più sviluppata dal punto di vista telematico.
Anche in ambito europeo, però, le nuove tecnologie non sono distribuite in maniera uniforme sul territorio. Le differenze maggiori si riscontrano confrontando paesi all'avanguardia come la Svezia, che nel 2000 ha superato gli Stati Uniti, e altri ancora alle prese con problemi legati alla carenza delle infrastrutture di base, quali ad esempio i paesi dell'ex blocco sovietico.
In Asia il divario interno tra stati tecnologicamente avanzati, come Giappone e Singapore, e nazioni ancora assai sottosviluppate, è enorme. Tuttavia ci sono una serie di elementi che fanno presagire l'imminente esplosione di Internet nell'area dell'Asia-Pacifico che, secondo le previsioni, raggiungerà i 200 milioni di utenti entro il 2003.
Nettamente distanziate dalle altre regioni, e con dati assolutamente incomparabili con le zone più progredite, ci sono il Medio Oriente e l'Africa. In quest'ultimo continente, il numero di utenti della Rete è ancora trascurabile, con l'unica eccezione del Sudafrica. Esistono 288 Internet Service Provider africani, di questi 75 sono sudafricani. Circa la metà di essi è connesso tramite satellite. Questo è uno dei motivo per il quale in Africa i costi di accesso sono tanto elevati e fuori della portata della maggioranza della popolazione.
Interrogativi sull'opportunità digitale
Negli ultimi anni si è fatta strada tra le Nazioni Unite l'idea che la diffusione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione possa contribuire ad accelerare il processo di sviluppo nei paesi del Terzo Mondo.
La speranza è che le ICT consentano ai Paesi in Via di Sviluppo di innescare un circolo virtuoso in grado di condurli allo sviluppo, senza passare attraverso tutte le fasi che tradizionalmente questo percorso comporta.
Come spiegato nel World Employment Report 2001, una simile speranza trova fondamento in una serie di motivi di carattere tecnico ed economico. In primo luogo, attraverso le applicazioni senza fili, i Paesi in Via di Sviluppo possono evitare i più onerosi, in termini di tempo e denaro, investimenti per le infrastrutture di telecomunicazione fisse. Dal punto di vista economico, invece, le tecnologie dell'informazione e della comunicazione possono incentivare lo sviluppo attraverso molteplici canali.
Nelle fasi iniziali del processo di industrializzazione, ad esempio, accade spesso che i Paesi in Via di Sviluppo riescano a conquistare alcune nicchie sui mercati globali grazie ad un vantaggio competitivo legato al basso costo di manodopera non qualificata. Si tratta di produzioni a scarso valore aggiunto che non sono in grado di gettare le basi per uno sviluppo autonomo. Laddove siano presenti competenze appropriate, le ICT consentono invece a questi paesi di andare oltre una tale fase iniziale e di occupare settori produttivi più remunerativi. Inoltre, grazie alle ICT, le imprese locali dei paesi del Terzo Mondo hanno la possibilità di accedere ai mercati planetari per vendere merci che producono in esclusiva, quali ad esempio i prodotti tipici artigianali.
In altre parole, anziché rappresentare una grave piaga ed un ostacolo alla prosperità della società dell'informazione, il "Digital Divide" sembra essere percepito come una sfida che offre enormi possibilità per eliminare la povertà, promuovere l'espansione economica, aiutare i più deboli ad inserirsi nei mercati mondiali, accedere ai vantaggi della telemedicina, consolidare le istituzioni democratiche, migliorare governo ed amministrazione.
Il tema del divario digitale è così entrato prepotentemente tra le priorità di organizzazioni internazionali, governi ed aziende multinazionali. Governi, Organizzazioni non-profit, multinazionali attive nei settori delle telecomunicazioni, dell'informatica e dell'intrattenimento sono concordi nel sostenere la necessità di incentivare la diffusione delle tecnologie digitali anche nei paesi del Terzo Mondo. Come si è già spiegato, si ritiene che le ICT possano stimolare la crescita economica e migliorare la qualità della vita.
Il Digital Opportunity Task Force (DOT Force) è stato istituito nel luglio del 2000 in occasione del vertice di Okinawa proprio per elaborare un'impostazione condivisa del problema del divario digitale, disegnare una strategia con un ampio respiro politico e individuare i modi per garantire le risorse necessarie alla realizzazione del progetto.
Si tratta di un organismo che riunisce rappresentanti dei governi di paesi industrializzati e in via di sviluppo, settore privato e organizzazioni non-profit. Per diversi mesi, attraverso una serie di incontri ed iniziative che hanno coinvolto tutti i soggetti interessati, la DOT Force ha analizzato i vari aspetti della sfida digitale: ha esaminato le cause del divario, ha individuato le potenzialità offerte dalle ICT per ridurre la povertà e permettere ai Paesi in Via di Sviluppo di partecipare ai processi decisionali, ha operato una ricognizione dei ruoli e delle responsabilità degli attori affinché le strategie delineate per trasformare la sfida in un'opportunità possano essere realizzate. I risultati di questa ricerca sono stati presentati a Genova al vertice dei G8.
L'analisi della DOT Force non fa altro che confermare l'idea per la quale le
ICT sono potenti strumenti da impiegare per ridurre le disparità socioeconomiche
e favorire in modo sostenibile la creazione di ricchezza a livello locale.
Attraverso il miglioramento della comunicazione e lo scambio di informazioni,
esse possono dare vita a potenti reti economiche e sociali che gettino le basi
per lo sviluppo, offrendo nuovi sistemi di produzioni, permettendo di avvicinare
mercati altrimenti irraggiungibili, migliorando l'erogazione di servizi pubblici
e incrementando l'accesso a beni e servizi sociali di base.
Nella relazione della DOT Force si auspica che le tecnologie della comunicazione e dell'informazione diventino parte integrante delle politiche e dei programmi di assistenza allo sviluppo che il G8 attuerà nei prossimi mesi. Ma soprattutto, si insiste affinché la realizzazione di questi progetti non sia imposta dall'alto dall'Occidente industrializzato ma coinvolga le comunità locali interessate e, in particolare, si riconosca ai Paesi del Terzo Mondo la titolarità del proprio processo di sviluppo.
Questo monito merita di essere sottolineato perché tradisce, anche da parte di un organismo autorevole e super-partes, la preoccupazione che la diffusione delle ICT avvenga in maniera selvaggia, in modo da compiacere gli interessi delle multinazionali dell'elettronica e delle telecomunicazioni e quelli delle potenze occidentali.
Il rischio, dunque, è che nel dibattito sul divario digitale prevalgano gli interessi del mercato su quelli degli uomini -e delle donne - e che l'intera questione venga affrontata come se "la sfida digitale" fosse semplicemente un'opportunità per raggiungere nuovi mercati nei Paesi in Via di Sviluppo e imporre loro un modello di sviluppo che ha funzionato nel Nord del mondo.
E' proprio in relazione a questo rischio che alcuni commentatori parlano di
"Digital Invasion" in contrapposizione alla "Digital Inclusion".
Spiega il direttore di Unimondo, Jason Nardi:
"Digital Inclusion significa integrare le popolazioni di qualsiasi Paese
con le nuove tecnologie, in modo che queste diano effettivi benefici alla maggioranza
delle persone. Digital Invasion è in un certo senso il contrario: ovvero
forzare in un Paese una tecnologia che non è appropriata ai bisogni della
popolazione. A cosa serve un computer collegato ad Internet in maniera discontinua
perché non c'è elettricità e non ci sono linee telefoniche
adeguate, là dove i grossi problemi sono l'accesso alla salute, l'accesso
all'istruzione, l'accesso a tutti i servizi che sempre più vengono meno
perché i Governi stanno abbandonando il loro ruolo principale in favore
di chi cerca solo di massimizzare i propri benefici?".
La vera sfida, quindi, lontano dagli eccessi del discorso dominante sulle Ict,
implica prima di tutto che si prenda atto dei problemi sollevati dalla loro
diffusione. Poi, che le effettive potenzialità di questi strumenti siano
messe al servizio delle persone per innescare processi di sviluppo compatibili
con le esigenze delle comunità locali per dare voce a chi ancora ne è
privo, alle donne, alle minoranze, ai popoli emarginati dal sistema economico
e comunicativo.